La lettera di risposta che Benedetto XVI ha inviato al matematico Piergiorgio Odifreddi, parzialmente pubblicata con il consenso papale su Repubblica di lunedì 23 settembre, Il Papa e l’ateo, costituisce, indubbiamente, la miglior replica a quanti avevano criticato la precedente lettera di Papa Francesco ad Eugenio Scalfari, sempre pubblicata su Repubblica, giudicata come un segno di cedevolezza verso quel giornale e il suo antico fondatore, maitre à penser dell’illuminismo e del laicismo anticlericale. 



Si può cogliere il disappunto di Sandro Magister che nel suo blog “Settimo cielo” parla di Concorsi letterari. Bergoglio scrive a Scalfari. Ratzinger a Odifreddi, ironizzando su questa gara tra Pontefici nello scrivere agli atei e ai mangiapreti. In realtà, che sia voluta o meno, la quasi coincidenza della pubblicazione delle lettere, di Francesco a Scalfari e di Benedetto a Odifreddi, non può non sorprendere. Non si era mai visto un Papa rispondere, in forma di lettera aperta, ad un giornalista. Né tanto meno due Papi! La coincidenza, casuale o no, rafforza, contro i divaricatori, l’impressione di un procedere all’unisono da parte del Pontefice in carica e di quello emerito. Né a calcare le differenze vale il fatto che la lettera di Bergoglio ha carattere più pastorale e quella di Ratzinger più teologale-filosofico. 



È il dato che qui conta. In meno di un mese Repubblica, il quotidiano del laicismo nazionale, riceve, con grande soddisfazione di Ezio Mauro, da parte di due Pontefici due missive indirizzate a due collaboratori di quel giornale. Non si può, in questo caso, far finta di nulla, glissare o ammorbidire la notizia come accade in molti blog cattolici, come se essa rappresentasse un gesto di cortesia, uno scambio accademico, o, peggio ancora, una manifestazione di ingenuità.

Dopo la lettera di Ratzinger non è possibile addebitare a Francesco alcuna ingenuità. In realtà se si fosse letto con attenzione il testo di Bergoglio lo scopo era manifesto. Rivolgendosi a Scalfari, Papa Francesco scriveva: “Penso vi siano, in particolare, due circostanze che rendono oggi doveroso e prezioso questo dialogo. Esso, del resto, costituisce, come è noto, uno degli obiettivi principali del Concilio Vaticano II […] La prima circostanza […] deriva dal fatto che, lungo i secoli della modernità, si è assistito a un paradosso: la fede cristiana, la cui novità e incidenza sulla vita dell’uomo sin dall’inizio sono state espresse proprio attraverso il simbolo della luce, è stata spesso bollata come il buio della superstizione che si oppone alla luce della ragione. Così tra la Chiesa e la cultura d’ispirazione cristiana, da una parte, e la cultura moderna d’impronta illuminista, dall’altra, si è giunti all’incomunicabilità. È venuto ormai il tempo, e il Vaticano II ne ha inaugurato appunto la stagione, di un dialogo aperto e senza preconcetti che riapra le porte per un serio e fecondo incontro. La seconda circostanza […] deriva dal fatto che questo dialogo non è un accessorio secondario dell’esistenza del credente, ne è invece un’espressione intima e indispensabile“. 



Questo è quanto anche Benedetto XVI ha detto e ribadito in più occasioni, da cardinale e da Papa. Il Vaticano II nel riconoscimento delle libertà moderne è il punto d’incontro tra Chiesa e modernità, tra il cristianesimo e la parte autentica dell’illuminismo. Questa svolta del Vaticano II può, grazie all’89 e al mutare delle condizioni storiche che hanno reso la posizione illuminista meno presuntuosa, trovare oggi condizioni propizie. Ratzinger da cardinale aveva tentato, in proposito, un dialogo a tutto campo, con Jürgen Habermas, Paolo Flores d’Arcais, Marcello Pera. L’ostilità e i preconcetti dei media, venuti gradualmente meno nell’ultima fase del Pontificato, gli hanno però impedito di sfondare il muro del suono del dogmatismo laico. Ora Francesco pensa che, dopo la caduta del Muro di Berlino, un altro muro possa cadere, quello che divide la Chiesa dall’intellighenzia moderna. E questo senza irenismi o dissimulazioni. 

La diversità delle lettere, il loro tono, dipende dalla diversità degli interlocutori. Scalfari è un agnostico affascinato dalla figura storica di Cristo. Odifreddi, al contrario, è l’esponente di una religione atea, di tipo spinoziano, che oppone il sapere scientifico come una sorta di gnosi superiore alla fede semplice ed ingenua degli ignoranti. A quest’ultima apparterrebbe la credenza cristiana. Conserva, tuttavia, un’impostazione realistica per la quale l’ordine del cosmo è un mistero, così come misterioso permane l’accordo tra il nostro pensiero e la realtà conosciuta. Riconosce, inoltre, che la scienza si trova di fronte ad enigmi insoluti. 

Tra questi: l’origine dell’universo dal vuoto, della vita dalla materia inanimata, l’origine della coscienza nei primati superiori e nell’uomo. È questo realismo, con il suo Logos, l’ordine razionale del mondo, che ha spinto Benedetto XVI, da sempre sostenitore del fatto che la Ragione nelle cose, contro il primato del Caos, è l’argomento principe che interpella credenti e non credenti, a scrivere al matematico. 

A partire da questo Logos illuminismo e cristianesimo possono confrontarsi ed incontrarsi. Così, in un tempo in cui lo spirito critico è pari a zero e il dibattito teologico-filosofico, in campo cattolico come in quello laico, è assente, sono i Papi che gettano ponti e ripropongono, attraverso l’eccezionalità della figura di Cristo, le grandi domande che interpellano il presente.

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