Tutto il senso di “Cara dottoressa… Risposte alle famiglie imperfette, l’ultimo libro di Mariolina Ceriotti Migliarese (Edizioni Ares, 2013) potrebbe essere riassunto in queste poche frasi, estrapolate dalla risposta a una mamma perplessa:  “Per fortuna i nostri figli non ci chiedono di essere genitori perfetti, ma piuttosto di considerarci tutti persone in cammino. Non ci toglieranno il rispetto che ci devono né l’obbedienza per il fatto che siamo disposti a riconoscere i nostri errori. Hanno però bisogno di sentire per quanto possibile che siamo sempre disposti a ricominciare, come genitori, come coppia, come famiglia (…)”. 



Buonsenso e misura trapelano da tutti i capitoli del volume, nati come risposte alle domande e agli interrogativi dei genitori in crisi che si rivolgono all’autrice attraverso le pagine di “Fogli”, il periodico per le famiglie delle edizioni Ares. L’autrice, neuropsichiatra infantile e psicoterapeuta, assicura nella prefazione che queste lettere, e queste risposte, nascono, in prima battuta, da un’urgenza di realtà; ma le risposte si allargano a riflessioni di tono più generale, e non si prefiggono solo di rispondere alla domanda specifica: senza mai salire in cattedra, ma con pacatezza, misura e ragionevolezza, l’autrice così inquadra sempre il problema che le viene sottoposto in una prospettiva più vasta. 



E i casi che vengono sottoposti all’attenzione di M. Migliarese costituiscono un campionario molto ben assortito: si parte dall’interrogativo di fondo, diremmo di tipo etico (“è possibile, ma, soprattutto, è giusto parlare di morte a un bambino molto piccolo?”), per poi passare a dubbi di tipo relazionale (“la mia bambina era sempre solare ed estroversa, ora che è passata alle medie è sempre ombrosa e silenziosa: che fare?”), o di tono generale (“La mia bambina  è un maschiaccio e non c’è verso di farle indossare una gonna”). E così, passando per “classici” della vita familiare (“mio figlio è gelosissimo del fratellino”; “il bambino a scuola fa il bullo”), e per problemi seri (“mio figlio fuma spinelli: che devo fare?!”) o meno seri (“mio figlio se la cava a scuola, ma passa il tempo libero chiuso in camera sua a guardare il soffitto: come schiodarlo da lì?”), M. Migliarese allarga poi, sempre, l’orizzonte delle sue risposte. 



Ce n’è per tutti i gusti: neo-padri preoccupati per l’insofferenza della moglie nei confronti del bimbo neonato, neo-nonne non entusiaste di occuparsi a tempo pieno – o quasi – del nipotino, e per questo piene di sensi di colpa; giovani coppie che lamentano l’invadenza bene intenzionata dei suoceri, etc. A tutti questi interrogativi, la professionalità dell’autrice – dietro la quale, però, si intuisce bene, c’è anche l’esperienza di madre di una famiglia numerosa – regala una riflessione meditata e ponderata che mette al centro di tutto l’ascolto, la disposizione all’analisi di sé e del nostro interlocutore, oltre che la capacità di capire empaticamente l’altro, di mettersi nei suoi panni, insomma. 

Ma non pensate che questo significhi buonismo d’accatto; tutt’altro. Se la prima qualità dell’amore è la forza, M. Migliarese ribadisce più volte, e con vigore, che ascoltare le ragioni di un figlio problematico, “difficile”, specie se molto piccolo, o nell’età ingrata, non significa tour court “dargliele sempre tutte vinte”. Anzi! Come ricorda l’autrice, rivolta a una mamma spaventata dagli scoppi di rabbia incontrollata del suo bambino – esplosioni alle quali tiene dietro un gran pentimento e il desiderio di sentirsi rassicurato e non giudicato “cattivo” – una certa psicologia divulgativa e “facile” ha sottolineato sino allo sfinimento “solo l’esigenza dei bambini di un clima affettivo caldo e accogliente, finendo per farci credere che il bimbo più sicuro e forte sarà quello che avrà ricevuto dai genitori il maggior numero di riconoscimenti e di attestazioni sul proprio valore”.

Magari fosse così. Le cose, infatti, sono un po’ più complesse. L’autrice, infatti, non si stanca mai di ripetere che perché un bambino cresca nella direzione di un sano senso di sé sono da tenere presenti due elementi fondamentali: da un lato la necessità costante di misurarsi con la realtà, dall’altro quella di imparare poco alla volta a capire, accettare e integrare tutto quello che il confronto con le cose ci fa conoscere su noi stessi”.

Data questa premessa, il ruolo dei genitori sta proprio nel riuscire, con equilibrio, con amore, ma senza iperprotettività, a “preparare alla vita” il figlio: non a caso l’immagine che ritorna più spesso in queste pagine è quella dell’allenatore, di colui che sa cioè, diremmo per statuto, far emergere e potenziare al meglio le capacità della giovane promessa che gli è stata affidata. Allo stesso tempo, l’immagine-guida dell’allenatore risponde anche a una seconda esigenza, quella di riuscire a placare le ansie di genitori spesso iperansiosi, com’è naturale in famiglie, come quelle moderne, sempre più numericamente risicate, in cui, spesso, c’è un solo figlio, al quale, da un lato, si vuole offrire sempre di più, in termini di opportunità, istruzione, occasioni di formazione, ma nei confronti del quale si palesa uno strisciante senso di colpa, perché il lavoro assorbe noi adulti sempre di più, perché il tempo è sempre poco, perché la fretta si mangia le nostre vite. 

Per esempio, di fronte all’interrogativo di una mamma, preoccupata perché la figlia preadolescente, una volta arrivata in prima media (pardon “in prima classe della scuola secondaria di secondo grado”, come si dice ora) passando alcune ore in casa da sola, potrebbe essere in difficoltà nei compiti, l’autrice ha il coraggio di rovesciare l’ottica con cui analizzare il problema, rispondendo in questi termini: “Riguardo al «problema dei compiti» mi sembra importante porsi per prima cosa una domanda, la stessa che dobbiamo imparare a farci davanti a ogni problema che ci coinvolge come genitori. 

La domanda è: «Di chi è il problema?». Ogni problema, infatti, posto che esista, va gestito principalmente da colui cui compete e che ne viene toccato: per quanto riguarda i compiti – a parte il fatto che sino a vent’anni fa essi, curiosamente, non suscitavano tutte le odierne preoccupazioni nelle famiglie! − essi sono un problema, essenzialmente, dei giovani studenti.  

In secondo luogo, circa la questione dei compiti a casa, sarà utile anche chiedersi quale sia la loro funzione, il loro scopo, la loro utilità; e, infine, dobbiamo ricordare che il genitore, come, appunto, il più scrupoloso degli allenatori, non può sostituirsi al figlio; semmai, può metterlo nella disposizione materiale e spirituale migliore per svolgere il suo dovere scolastico, fornendogli gli strumenti, accertandosi che il luogo dove studia sia silenzioso e adatto, che abbia il materiale e il tempo necessario; e, infine,  che, nel caso gli serva un aiuto, ma solo in questo caso, possa rivolgersi a qualcuno per chiarire dubbi e interrogativi. L’aiuto migliore che un genitore può offrire può essere paragonato a quello di un buon allenatore, che osserva, stimola, incoraggia, qualche volta consola, ma non si sostituisce mai all’altro e gli permette di mettersi alla prova. È un atteggiamento di tranquilla fiducia, un’apertura di credito, che è possibile solo quando le aspettative nei confronti del figlio non sono eccessive e i suoi successi e insuccessi non vengono vissuti come se fossero i propri.

Insomma, il linguaggio di tranquilla pacatezza dell’autrice rende la lettura piacevole, utile, educativa (anche, anzi, soprattutto per un adulto!); ma questo non basterebbe a fare un bel libro: a dargli il valore aggiunto c’è un tocco di sensibilità tutta femminile che si aggiunge alle competenze professionali, una nota di delicatezza sorridente nell’osservazione che rende queste pagine difficilmente dimenticabili. Leggere per credere la sezione Tu sei così bella e io no!, centrata, come dice il sottotitolo, sull’ambivalenza tra madre e figlia (pp. 73ss.): è veramente difficile trovare una sintesi così efficace, così centrata, così sorridente, così profonda del senso di inadeguatezza che può attanagliare una bambina, anche piccolissima, ma insieme anche dell’ambivalenza materna verso la figlia femmina. Serve una sensibilità non comune, per cogliere queste sfumature, una sensibilità che l’autrice unisce alla sua professionalità con esiti davvero felici.