Non sappiamo se Bartolomeo Diaz, al suo ritorno dall’Africa, nel 1489 – dopo aver raggiunto il Capo di Buona Speranza aprendo una via per le Indie e le spezie – considerava la sua scoperta l’inizio di una nuova epoca. Certamente la dovettero considerare gli spagnoli, che furono obbligati a  cercare una nuova rotta per raggiungere le Indie, dato che la circumnavigazione dell’Africa era preclusa, essendovi arrivati prima i vicini portoghesi. La scoperta delle Americhe e del Nuovo Mondo non aprì una nuova rotta per il commercio delle spezie, ma una via dell’argento, con il quale si poteva acquistare ogni spezia desiderata e potere militare.



Nel 1588 la distruzione della Invincibile Armada spagnola pose fine ai sogni egemonici di Filippo II. L’Inghilterra protestante, sconfiggendo la Spagna cattolica, affrancò politicamente ed economicamente  il suo alleato, la Repubblica delle sette Provincie Unite costituita proprio nello stesso anno. Iniziò per la nuova repubblica, poi chiamata Paesi Bassi, un periodo di vivacità economica e culturale che si protrasse per il tutto il secolo XVII. Già nel 1602 venne costituita la Compagnia Olandese delle Indie Orientali, le sue navi solcarono gli oceani, e con il controllo delle Molucche portarono ricchezza e benessere alla madre patria.



E ancora,  un secolo dopo, nel Regno Unito, nel 1689 la promulgazione del “Bill of Rights” sancì la pace religiosa, i diritti e le libertà dei cittadini. Si instaurò, così, un nuovo clima socio-economico (la Banca d’Inghilterra operava già dal 1695); la morale, i comportamenti sociali si stemperarono; si diffuse, quindi, un certo rilassamento dei costumi. E con la pubblicazione de “La favola delle api” Bernard De Mandeville sosteneva che la civiltà – la ricchezza, le arti e la scienza –  è il risultato non delle nostre virtù ma di ciò che questo autore chiamava vizi, e cioè i diversi bisogni naturali che ci fanno desiderare il benessere, il comfort, il lusso e tutti i piaceri della vita. 



L’Europa accolse la Rivoluzione francese del 1789 come un vento nuovo, un mondo nuovo di libertà, uguaglianza e fraternità; ovunque Napoleone ed il franco francese portarono novità e speranza in un benessere tanto atteso. Giunto al potere, fra i primi atti venne promulgato il Codice napoleonico: gli affari ed il commercio avevano bisogno di regole.

Arrivando nel XIX secolo, che effetto positivo ebbe la prima esposizione universale a Parigi con l’inaugurazione della Torre Eiffel del 1889? Dopo un periodo in Europa di lunga deflazione l’avvento al trono del giovane Guglielmo II, Kaiser di Germania, con il suo sogno del  pangermanesimo, aprì al commercio ed all’innovazione e contribuì alla nascita della seconda rivoluzione industriale, della quale tutti beneficiarono. Il prodotto interno lordo tedesco in venti anni aumentò di quasi tre volte e la sua popolazione del 50 per cento. 

In Inghilterra − di contro − i magnati dell’oro e dei diamanti si erano costruiti sontuosi palazzi in Park Lane, la speculazione era divenuta la frenesia del momento e sempre maggiori somme finivano nello Stock Exchange di Londra. Tutte le classi sociali andavano progressivamente involgarendosi. Una nuova stampa a buon mercato dilettava i lettori incolti, divenivano più economici i trasporti, e l’effervescenza dei commerci alimentava un ottimismo spensierato. Masse sempre più numerose di persone sentivano il bisogno di entusiasmi artificialmente stimolati. Si confermò un periodo unico di crescita, benessere, liceità dei costumi: la Belle Epoque.

Oggi, guardando i filmati di archivio, quando cadde il muro di Berlino, nel 1989, si può percepire l’effervescenza e l’entusiasmo comune di un sentimento di speranza, della fine di un periodo storico, la guerra fredda. Un mondo nuovo – nuovamente – si aprì, niente più barriere, niente più vincoli. Libertà e liberismo si imposero di imperio; l’innovazione tecnologica, la comunicazione globale, l’affermazione della cultura fusion, furono la linfa della fase espansiva economica.

Dopo una lunga corsa di quasi un ventennio, la crisi del 2008 ha evidenziato limiti, dubbi e domande. Vi è una grande incertezza connessa con la natura e con la direzione dei futuri cambiamenti tecnologici, demografici ed economici. La perdurante finanziarizzazione dell’economia ha determinato notevoli incertezze. Esse sono connesse con la speculazione e con la cosiddetta “economia dell’euforia e della paura”, condizionate la prima dall’aumento della massa monetaria e dalla teoria della crescita continua, la seconda dal solo apparire di eventi minacciosi.

I segnali economici e finanziari e di geopolitica di questo finire di estate sono contrastanti. Da una parte gli ottimisti − fra cui i nostri politici − e la percezione di un treno in partenza della ripresa mondiale in cui l’Italia faticosamente deve salire; dall’altra parte i pessimisti e la loro previsione dello scoppio di una bolla finanziaria del debito degli Stati, con effetti domino recessivi a livello globale ed in particolare nel nostro Paese. Basti ricordare l’articolo di Giulio Sapelli del 28 agosto e di Mauro Bottarelli del 27 e 30 agosto su queste pagine, o di William H. Janeway recentemente pubblicato sul sito www.foreignaffairs.com.

L’idea di un progresso permanente e immanente che ha sostenuto l’ uomo occidentale nella sua storia si è organizzata in una sorta di evoluzionismo sociale basato su una legge di sviluppo, secondo la quale la conoscenza scientifica e la capacità di agire sulla natura determinano una crescita costante. Questa concezione poggia sulla convinzione che il passato e il presente siano noti, come pure gli elementi che producono l’evoluzione, e che la causalità sia lineare. Per tutto questo, il futuro sarebbe prevedibile.

Un altro genere di previsione del futuro si fonda sull’analisi dei cicli temporali lunghi che costituiscono una forma di cambiamento secondo la quale l’avvenire non è né uniformemente portatore di progresso, come nell’evoluzionismo sociale, né destinato inevitabilmente al declino, come nella teoria decadentista. Un ciclo è scandito da un’alternanza indefinita di due o più stadi. Il più noto, a due stadi, descritto da Nicolaj Kondrat’ev, prevede fasi ascendenti e discendenti di ampiezza di circa mezzo secolo. Secondo questo autore il primo ciclo sarebbe iniziato verso il 1790 con un momento di inversione nel 1815 e una fase di contrazione terminale verso il 1850. In seguito si svilupperebbe il periodo di espansione del secondo ciclo per raggiungere il suo massimo verso il 1873; la fine del XIX secolo, tempo di grandi difficoltà economiche, di grande crisi, segnerebbe il periodo di contrazione di questo secondo ciclo che si concluderebbe verso il 1896.

Ed è in questo periodo che si aprirebbe la fase espansiva del terzo ciclo di Kondrat’ev con un punto di inversione verso il 1930.

Secondo alcuni autori, un quarto ciclo di Kondrat’ev sarebbe iniziato verso il 1940 coicidente con l’inizio della seconda guerra mondiale, con una sua successiva inversione verso il 1965.

J. Schumpeter ha avanzato una spiegazione della dinamica dei cicli lunghi con il verificarsi delle scoperte, delle invenzioni: macchina a vapore e tessitura per il primo ciclo di Kondrat’ev; acciaio e ferrovia per i secondo; motore a scoppio, elettricità, prodotti chimici per il terzo. Se ne deduce nucleare e aerospazio per il quarto ciclo. E così si potrebbe intuire la nascita − in concomitanza alla caduta del muro di Berlino del 1989 − di un quinto ciclo di Kondrat’ev, con le invenzioni della “rete” e delle tecnologie digitali, del telefono cellulare, dell’informatica in genere che hanno poi dato impulso alla globalizzazione ed a quel rinnovamento culturale ideologico, nuova linfa della fase espansiva. Il processo di fascinazione indotto dal verificarsi di un’importante avventura umana − economica, scientifica, geografica, culturale − produce una mutazione delle mentalità e dei costumi che danno avvio a un nuovo tempo della vita che potremmo chiamare anche “ciclo”, o altro.

Vi sono anche teorie innovative e controverse che aprono nuovi orizzonti nell’interpretazione dei dati, della storia, della visione del futuro. Uno autorevole studioso quale il matematico Benoît Maldenbrot scoprì una nuova branca della matematica che ritiene di individuare l’ordine nascosto in ciò che all’apparenza è privo di ordine, la struttura regolare nell’irregolare, della natura: è la geometria frattale. In particolare, la teoria della dipendenza a lungo termine, la teoria dell’invarianza di scala ed infine la teoria della natura multifrattale del tempo. Un suo studente, Nicolas Taleb ha avuto, con la pubblicazione del libro Il cigno nero un notevole interesse mediatico per l’originalità con la quale spiegava la crisi economica finanziaria del 2008.

Il tempo che viene percepito continuo, in realtà, nella logica “frattale” è multi frattale; la storia che viene percepita lineare, in realtà, anch’essa è multi-frattale, con dipendenza di breve e lungo termine determinando la percezione dell’effetto ciclico. La stessa etimologia del termine decisione significa rottura fra il passato ed il futuro; nell’avvicendamento dei cicli, quindi, vi sono frizioni e nelle decisioni, maggiori fasi di disordine.

La logica gaussiana dei piccoli cambiamenti ha la sua giustificazione all’interno del ciclo; la logica dell’eccezionalità ha la sua ratio nei periodi di cambiamento, di turbolenza, ove avviene la selezione competitiva a tutti i livelli, personale, familiare, sociale, di civiltà, con i conseguenti effetti sociali ed economici. È quanto Schumpeter enunciava con la sua teoria della distruzione creativa. Le crisi in questo senso rappresentano un’opportunità per i più efficienti e i più forti. È il darwinismo economico e sociale. Ricordava infatti Albert Einstein nel 1930 che “senza crisi non c’è merito”.

Quale scenario potremmo prevedere nel 2014? I pessimisti – dopo questa lettura − confermerebbero che il prossimo anno è il  probabile punto di inversione dell’ipotizzato quinto ciclo di Kondrat’ev, ne seguirà una recessione prolungata nel prossimo futuro. Gli ottimisti – invece – vedrebbero la negazione di preveggenze non razionali e quindi astrologico-cabalistiche,  determinate solo dalla fantasia, confermando, invece, l’uscita dalla crisi confortata “dall’interpretazione autentica” dei dati economici. E quindi?

L’evoluzione economica non è soggetta a leggi né condizionamenti deterministici. Non è né automatica, né lineare. Non esiste un fattore costante che la condiziona. Le analisi non presentano un’unica proiezione del corso futuro dello sviluppo dell’economia mondiale, ma piuttosto una serie di possibili scenari alternativi. Le previsioni, infatti, ed ogni considerazione prognostica, non possono che essere svolte in senso probabilistico e presentano un grado di analiticità e verosimiglianza in stretta correlazione con la contiguità cronologica dell’evento oggetto di esame. La storia non detta regole, ma può − come sottolinea Benedetto Croce − evidenziare un’esperienza anticipata, costituendo comunque un potente stimolo per l’individuazione di soluzioni, che si riferiscono a casi unici, irripetibili. In conclusione – come ricorda Geminello Alvi − la storia è la memoria del futuro.