È polemica in Tirolo meridionale per i cartelli bilingui o, meglio, per un centinaio di indicazioni turistiche monolingui (in tedesco), in località dove il toponimo italiano era ed è scarsamente usato. Cronaca locale, si direbbe, e, invece, sull’argomento è intervenuto niente meno che un sottosegretario, cosa che, tanto per fare un esempio, i lavoratori in cassa integrazione della Merloni e di qualche decina di altre fabbriche si sognano…
La questione del bilinguismo (ma in Tirolo meridionale le lingue sarebbero tre, perché c’è anche il ladino) non è una cosa da poco. Sul piano storico, è vero che le indicazioni turistiche monolingui sono uscite in riferimento a località dove la toponomastica italiana è cosa prevalentemente da esercizio linguistico-retorico, ma, resta il fatto che, dovesse il Sud Tirolo diventare indipendente o riunirsi all’Austria, ormai il problema sarebbe ineludibile, per chiunque lo amministrasse. Proprio in questi giorni in Tirolo meridionale è in corso il referendum, autoproclamato, per sancire il diritto di autodeterminazione (ammesso dalle Nazioni Unite, ma non dalle leggi italiane). Il Tirolo meridionale, una volta libero di decidere del proprio destino, non potrebbe fare a meno di riconoscere il proprio sostanziale plurilinguismo, e trarne le conseguenze (anche per le indicazioni turistiche), come, del resto, riconoscono tutti gli esponenti politici importanti di tutti i movimenti e partiti autonomisti sudtirolesi.
È così in tutta l’area alpina, da sempre crocevia di popoli e di lingue. È così, per esempio, nei civilissimi Grigioni svizzeri, cantone dove gli italofoni sono una minuscola percentuale, che però si vede riconosciuto l’uso della propria lingua a tutti i livelli della vita sociale. C’è un “ma”, per quanto riguarda il Tirolo meridionale, che è grande come una cima dolomitica: mentre nei Grigioni, o in Istria, o nel Vallese, l’italofonia è un dato storico secolare, non altrettanto si può dire per tutte le valli di questa regione. L’italianizzazione forzata, anche della toponomastica, inizia, come è noto, dopo l’annessione del 1918 e ha il suo apogeo con il fascismo, con un antecedente importante, però, che è stato gravido di conseguenze.
Già prima della Grande Guerra Ettore Tolomei, irredentista radicale e, poi, senatore del Regno, aveva avviato un complesso lavoro di riscrittura della toponomastica sudtirolese, con il suo Prontuario dei nomi locali dell’Alto Adige, continuamente aggiornato negli anni successivi e applicato con rigore estremo dopo il 1918, al punto da pretendere la cancellazione totale della toponomastica originale, in lingua tedesca. Per agevolare questo progetto criminale, alla fine della prima guerra mondiale, intere valli, un tempo tirolesi, furono spostate sotto l’amministrazione di province geo-storicamente fittizie, come quella di Belluno. Il ladino, poi, fu, sic et simpliciter, considerato come un “dialetto” italiano.
Eppure, molte delle soluzioni toponomastiche di Tolomei, dal punto di vista storico-linguistico, rasentano il ridicolo, come se, oggi, uno volesse germanizzare il comune di Bollate, in provincia di Milano, basandosi solo sull’assonanza e chiamandolo, pertanto, Bulledorf.
La tragedia era quella di un nazionalismo incapace di rendere conto della pluralità e della complessità della storia, lo stesso nazionalismo che i papi del tempo, a cominciare da Benedetto XV, trattarono come una pericolosa eresia: una cosa è avere e amare la propria patria, altra è disprezzare e annullare quella altrui (che è, appunto, la quintessenza del nazionalismo). La bibliografia sui crimini, non solo linguistico-culturali, del nazionalismo prefascista e fascista è sterminata, ma un riferimento a quei fatti lontani è essenziale per comprendere la diatriba sulla cartellonistica sudtirolese, precisando che, nel caso di cui occupa la cronaca recente l’oggetto del contendere sono delle indicazioni escursionistiche, su sentieri di montagna e in mezzo ai boschi.
Per quelle stradali, infatti, la legge prevede un rigorosissimo e, oggi, inattaccabile bilinguismo integrale. Si tratta, oltre tutto, di un riferimento prezioso per comprendere come mai dei movimenti politici fortemente identitari, come quelli che rivendicano l’autonomia del Tirolo meridionale, e, dunque, culturalmente “di destra” (sempre che questa espressione abbia ancora un senso), siano tanto ostili alle forze politiche di centrodestra italofone della loro regione.
A pretendere (ma non ad avere) la piena rappresentanza delle ragioni dell’italianità nelle terre, che loro, da Tolomei in avanti, si ostinano a chiamare Alto Adige, sono state (e sono?), infatti, forze politiche di taglio vetero-nazionalista, se non parafascista. I sottosegretari che oggi vogliono rifare le indicazioni escursionistiche della Val Pusteria/Pustertal, dovrebbero chiedersi quanto ancora si tirano dietro dell’antica, ma mai morta, arroganza delle camice nere che tormentarono e angariarono per decenni le valli sudtirolesi. Per il resto, la questione delle indicazioni in italiano è già stata risolta da una mano pietosa che, con un pennarello nero e con tratto peraltro assai elegante, ha già provveduto, senza costi per i contribuenti, a rimettere le cose a posto. Che sia stato qualche albergatore locale, preoccupato delle possibili conseguenze per il turismo?