È stato vissuto come un vero evento di popolo il ritorno temporaneo della Madonna di Foligno di Raffaello nella “sua” Foligno. La tela (in orgine era una tavola) è stata esposta nella chiesa del monastero di Sant’Anna, dov’era stata per oltre 200 anni, dal 1565 al 1816, quando venne ceduta a Pio VII e quindi al Vaticano. Com’è ben noto la Madonna di Foligno è stato l’evento natalizio che il Comune di Milano ha offerto ai cittadini: in ben 240mila si sono mesi in fila per ammirarlo a Palazzo Marino. Sulla strada del ritorno, l’Eni, lo sponsor che ha sostenuto l’iniziativa, ha ottenuto dal Vaticano di fare una tappa di dieci giorni a Foligno, per riportare l’opera in quella che era stata per tanto tempo la sua collocazione. 



Su internet si vedono foto che colpiscono: gente che applaude vedendo la grande cassa con dentro il quadro, attraversare una strada stretta del centro della città per arrivare al monastero. Fuori dalla chiesa ci sono sempre lunghe code, anche perché l’ingresso è contingentato a 25 persone per volta. Il vescovo Gualtiero Sigismondi, profondamente commosso, ogni mattina alle 7,15 dice messa davanti a quell’immagine capolavoro. E ha anche scritto una preghiera offerta a tutti i fedeli: «Madonna di Foligno, ci lasciamo raggiungere dal tuo dolcissimo sguardo e riceviamo la consolante carezza del tuo volto sereno; siamo certi di essere preziosi ai tuoi occhi e ci affidiamo alla tua materna intercessione con cuore semplice».



In realtà il quadro, a differenza di altri capolavori di Raffaello strappati dal loro luogo originario (come la Madonna Sistina, venduta dai benedettini di Piacenza e oggi a Dresda; lo Sposalizio della Vergine, portato via da Città di Castello da Napoleone e “regalata” a Brera), non era stato dipinto per Foligno, anche se la sua storia si incrocia profondamente con la cittadina umbra. Era infatti folignate il committente, quel Sigismondo de’ Conti che appare inginocchiato in basso nella pala, in un memorabile ritratto di profilo. E sono di Foligno le case che appaiono sullo sfondo, in quel meraviglioso paesaggio umido di pioggia. Infatti il quadro è una sorta di ex voto, in cui il potente uomo di curia, segretario di Giulio II, ringrazia perché un fulmine (o forse una meteora) aveva lasciato illesa la sua casa di Foligno.



La pala era stata pensata per la tomba di Sigismondo in Santa Maria Aracoeli (l’iconografia infatti ha un nesso con l’apparizione, avvenuta dove poi è sorta la basilica, della Vergine con il Bambino ad Augusto, raccontata dalla legenda aurea). 

Quando però venne abbattuta l’antica abside, gli eredi decisero di portare via la pala di Raffaello e di darla al monastero di Sant’Anna dove era badessa una nipote di Sigismondo. Il quadro restò lì sinché Napoleone non lo requisì e lo portò a Parigi. Fu Canova a recuperarlo, riportandolo però non a Foligno ma a Roma, perché nel frattempo le suore lo avevano ceduto al Vaticano. 

Cosa insegna tutta questa vicenda? Che il patrimonio italiano ha una natura tutta particolare. Che è patrimonio legato ai territori, che è sempre parte di un contesto (cioè di un “paesaggio” umano) preciso. E appena questo contesto si ricompone, le opere sembrano riacquisire il loro significato pieno e, oserei dire, anche un più ampio respiro che invece le collocazioni museali tendono a tarpare. 

Il patrimonio culturale è un fattore di comunità, nel senso che attorno a questi tesori si costruisce coesione e una consapevolezza della propria storia e identità. Per dirla in breve: la Madonna di Raffaello in Vaticano è uno dei tanti tesori schierati nel museo. A Foligno invece diventa un qualcosa di unico, un simbolo capace di commuovere, di accendere senso di appartenenza, un motore straordinario di attrattività che esalta tutto il contesto. È come se tornasse a parlare in tutta la sua pienezza, anche per il fatto di riacquisire una sua naturale collocazione sopra un altare. 

Qualcuno timidamente ha osato buttar là l’idea che il Vaticano possa lasciare in deposito il Raffaello al monastero di Foligno. Il direttore dei Musei Vaticani Antonio Paolucci non si è ovviamente sbilanciato, ma ha fatto capire quale potrebbe essere la strada. «Bisognerebbe chiederlo a Papa Francesco», ha detto. Certamente Papa Francesco, papa che non ama molto il centralismo, capirebbe. Lasciare il Raffaello a Foligno è un grande gesto, di quelli che fanno capire quanto la cultura sia davvero, e in senso pieno, un valore.