Quando nel 1976, proveniente da Catania, iniziai la mia carriera universitaria nella Facoltà di Economia e Commercio della “Sapienza” ebbi modo di conoscere Federico Caffè. Quello che maggiormente mi impressionò furono due cose (ultimamente la stessa cosa): la grande riverenza e il grande rispetto di tutti i colleghi e l’amore rispettoso degli studenti.
Egli, nell’immaginario studentesco, rappresentava la figura del vero professore universitario. Pur nel rispetto dei ruoli, era sempre vicino agli studenti e, nei confronti dei loro bisogni, si dimostrava sollecito e disponibile.
Eravamo tutti e due molto mattinieri, spesso alle 8,30 ci capitava di utilizzare lo stesso ascensore, spesso alle 20 di sera ci rincontravamo per l’uscita. Questa sua quotidianità, tutta spesa all’interno della Facoltà, a me giovane assistente, fece crescere il senso di rispetto nei Suoi confronti e indicò, pur nel silenzio dei nostri incontri, la devozione al ruolo e incrementò l’attenzione verso i miei compiti.
Quasi al termine della mia carriera universitaria debbo riconoscere che molte sono state le persone che mi hanno professionalmente ed umanamente fatto crescere, fra queste sicuramente c’è Federico Caffè; egli mi ha silenziosamente educato al rispetto del tempo e del luogo dove si svolge l’attività lavorativa, perché rispettando queste cose si rispetta se stessi e gli altri.
Da economista aziendale, però, non posso non soffermare la mia attenzione e la mia affezione alla sua magistrale produzione accademica. Egli era un keynesiano sostenitore, non per ideologia ma per ragionata convinzione, del fatto che nel mercato dovesse trovare posto anche l’intervento pubblico. Essendo il mercato “una creazione umana, l’intervento pubblico ne è una componente necessaria e non un elemento di per sé distorsivo e vessatorio“. Federico Caffè era sostanzialmente una persona etica e, come studioso, poneva l’operato etico come presupposto del risultato economico. Egli, quindi, non confonde mai lo strumento (il pubblico o il privato) con la modalità con cui lo strumento viene utilizzato; riconosce che lo strumento pubblico può essere usato in maniera non etica, ma ha ben presente, e non lo tace, che anche lo strumento privato può essere utilizzato con modalità non etiche, sino ad affermare che “il capitalismo maturo, al pari di quello originario, poggia su sofferenze umane non contabilizzate, ma non per questo meno frustranti e degradanti“.
Federico Caffè, pur affermando che l’economista non è un profeta, ma un lettore della realtà, è stato capace di individuare nella realtà del suo tempo tutti quei segni che la finanziarizzazione dell’economia arrecava e che se non sarebbero stati corretti sarebbero stati forieri di difficoltà ed anche di crisi per l’economia mondiale.
“Da tempo sono convinto che la sovrastruttura finanziario-borsistica con le caratteristiche che presenta nei paesi capitalisticamente avanzati favorisca non già il vigore competitivo, ma un gioco spregiudicato di tipo predatorio che opera sistematicamente a danno di categorie innumerevoli e sprovvedute di risparmiatori, in un quadro istituzionale che, di fatto, consente e legittima la ricorrente decurtazione o il pratico spossessamento dei loro peculi. Esiste una evidente incoerenza tra i condizionamenti di ogni genere (…) che vincolano l’attività produttiva (…) e la concreta licenza di espropriare l’altrui risparmio che esiste per i mercati finanziari“.
Chi sa (talvolta mi domando) se anche queste visioni non abbiano contribuito al suo nascondimento.