A tutti gli italiani al di sotto dei cinquant’anni la fiction della Rai Gli anni spezzati restituisce il passato recente del Paese, che gli adulti, a partire dalla scuola assente, hanno paura di raccontare ai ragazzi. I quali sono informati, forse, di tutte le vittorie militari di Annibale in Italia durante la seconda guerra punica, ma nulla sanno degli anni della Repubblica. Ma offre un’occasione di ripensamento anche alle generazioni sopra i cinquant’anni, che si sono trovate a vario titolo coinvolte nella storia della sanguinosa guerra civile a bassa intensità che ha colpito il Paese per tutti gli anni 70. 



Diversamente dai tradizionali programmi televisivi dedicati alla storia, la fiction mette in primo piano la vicenda privata e familiare di singoli protagonisti  (il commissario, il giudice, l’ingegnere, identificabili rispettivamente con Luigi Calabresi, Mario Sossi, Carlo Ghiglieno (quest’ultimo immaginario), il primo e il terzo assassinati da gruppi della sinistra armata, il secondo sequestrato dalle Brigate rosse dal 18 aprile al 22 maggio del 1974), strettamente intrecciata con il contesto sociale e politico del Paese. 



“Gli anni spezzati”, comunemente più noti come “anni di piombo”, dischiudono il loro plumbeo orizzonte alla fine del 1969, incominciano a finire con la marcia dei 40mila della Fiat del 14 ottobre 1980, indetta dal Coordinamento dei capi e dei quadri Fiat, del quale fu leader Luigi Arisio, chiudono i battenti il 28 gennaio 1982 con la liberazione del generale americano James Lee Dozier, sequestrato dalle Br il 17 dicembre 1981. “Spezzati”, perché la vita di centinaia di quadri di impresa, giudici, giornalisti, poliziotti, guardie carcerarie è stata brutalmente “spezzata”, mentre quasi duemila persone sono state feriti, gambizzate, segnate psicologicamente. “Spezzati”, perché il passaggio di alcuni frange dei movimenti del ’68 alla lotta armata rappresenta una rottura culturale e politica rispetto allo stesso ’68. 



Confluirono nella “contestazione globale” filoni culturali diversi. Nascevano dall’importazione in Europa dei movimenti americani dei primi anni 60; dal movimento tedesco del 1965, che, a sua volta, era una versione movimentista degli Jusos (Junge sozialisten) socialdemocratici; dal movimento cattolico di contestazione, nato dal Concilio Vaticano II, dalle comunità di base, da don Milani; dal sindacalismo rivoluzionario; dalle esperienze di lotta armata in America latina (Tupamaros, Montoneros, Farc, Don Camilo Torres, Che Guevara….); dalla sinistra comunista e marxista, di cui arrivarono nel ’68 solo le sparute minoranze del marxismo critico (Korsch, Lukacs, Bloch, Benjamin…) e dell’operaismo (Asor Rosa, Tronti, Toni Negri). 

Fu la strage di Piazza Fontana a proporre con forza all’interno di alcune minoranze il tema della lotta armata. Le bombe di Piazza Fontana apparvero come l’unica risposta di cui il Potere fosse capace. Per i primi anni 70 furono le Br a detenere l’egemonia all’interno del movimento armato.

Il loro schema organizzativo prevedeva il comando centralizzato assoluto, la clandestinità totale, l’attacco al cuore dello Stato. L’operazione Moro, sequestro e assassinio, rappresenta il punto più alto di questa strategia politico-militare. Ma, già a partire dalla fine dell’anno 1976, con lo scioglimento di Lotta continua alla Fiera di Rimini e con la confluenza di molti militanti nell’Autonomia operaia, sorgono nuove forme di lotta armata, di cui Prima linea diventa il punto di riferimento. 

Il suo schema operativo è diverso da quello delle Br, eredita quello dei Nuclei armati proletari, fondati nella primavera del 1974, attivi fino alla fine del 1977, soprattutto al Sud: nessuna clandestinità, di giorno si studia e si lavora, si va a sparare e a uccidere la sera, dopo il lavoro, o la mattina, prima di recarsi in fabbrica o in ufficio o in università. Nascono gruppi spontanei sul territorio (i Gruppi combattenti territoriali della fiction L’Ingegnere), che praticano, con le gambizzazioni, una sanguinosa propaganda armata. La stessa che a Milano nel ’77 mettono in atto durante i cortei studenteschi del sabato: alcuni armati di P38 si collocano in fondo ai cortei e, arrivati nei pressi di luoghi simbolo (Assolombarda, Piazza Cavour, dove c’è la sede di alcuni giornali, la Questura, etc.), incominciano a sparare in aria o alle vetrine. La stragrande maggioranza dei ragazzi scappa terrorizzata, ma alcuni si fermano affascinati…

Certo, la scena delle gambizzazioni di massa è appunto solo una fiction irrealistica, ma serve a rendere l’idea. La dispersione in piccoli gruppi armati, quali le Brigate comuniste, le Unità comuniste combattenti, le Formazioni comuniste combattenti… provoca una concorrenza tragica tra di loro, per accreditarsi rispetto ad un livello superiore e più autorevole, quello delle Br. È questa la motivazione che spinge la Brigata 28 marzo di Marco Barbone ad uccidere il giornalista Walter Tobagi il 28 maggio 1980. La Brigata aveva preso quel nome da un’irruzione dei carabinieri in un covo Br a Genova appunto il 28 marzo 1980, nel corso della quale erano stai uccisi quattro brigatisti. 

“Spezzati” quegli anni, perché le fratture diventarono generazionali e familiari. Queste dinamiche erano già incominciate nel ’68. Durante le occupazioni notturne ragazzi e ragazze si trasferivano con il sacco a pelo nelle scuole e nelle università. Il fenomeno toccava soprattutto le fasce sociali più colte, la borghesia della produzione e delle professioni, i quadri intermedi delle aziende. L’ingegnere della fiction è appunto un quadro Fiat. Distacco dalla famiglia, libertà sessuale, rinuncia alle carriere garantite generavano conflitti senza ritorno. La Valeria della fiction, la figlia maggiore dell’ing. Giorgio Venuti − che parla in italo-romano, mentre il padre è piemontese! − rispecchia questo percorso: l’abbandono degli studi, l’uscita definitiva di casa, la partecipazione al sequestro del padre e all’omicidio dell’amico del padre. 

Benché molti di questi ragazzi provengano da case piene di libri e da studi liceali, la loro cultura è grezza e schematica: l’azione prima del pensiero, dichiara il fascinoso professore, con cui Valeria condivide le idee e il letto. Ma non i rischi, perché l’intellettuale rivoluzionario se ne sta alla larga dall’azione pericolosa, ovviamente per garantire la continuità del comando. È ben descritta, nella fiction, la generosità malposta di frange di una generazione, che ha gettato le proprie vite nella fornace di un’avventura ideologica e umana all’insegna della parola d’ordine: “non si torna più indietro”. 

Né manca il tema drammatico delle complicità, delle coperture, delle passività colpevoli, che hanno assicurato per parecchi anni l’acqua in cui i pesci della lotta armata hanno liberamente nuotato: dalla tata Assunta (una Paola Pitagora ovviamente invecchiata rispetto al famoso sceneggiato sui Promessi sposi del 1967, in cui interpretava una splendente Lucia Mondella), che parla di “ragazzate”, allo stesso ingegnere Venuti, che individua il compagno terrorista della figlia, ma resta reticente davanti al Commissario di polizia, agli intellettuali e giornalisti, che difendono i 61 operai licenziati dalla Fiat per contiguità con il terrorismo, al direttore dell’ospedale, che non vuole denunciare i sabotaggi e che spinge il medico a farlo al suo posto, condannandolo all’assassinio… 

La fiction disegna efficacemente il profilo di viltà dello spirito pubblico della società civile del tempo. La storia reale racconta che, alla fine, la società civile reagirà. Sarà appunto la marcia dei 40mila: partiti in quattro gatti, i quadri Fiat vedranno affluire nel corteo migliaia di persone, una maggioranza silenziosa, che la sinistra dell’epoca guardò con diffidenza. Difficile esserne entusiasti, dopo che Enrico Berlinguer era corso davanti ai cancelli della Fiat a garantire l’appoggio del Pci all’occupazione della fabbrica. I sindacati usciranno fortemente ridimensionati da quella vicenda, mentre la Fiat, già in crisi, potrà continuare a contare sugli aiuti di Stato.