Quando si legge Mark Haddon non si comprende immediatamente che si ha a che fare con un artista. Definirlo autore poliedrico sarebbe riduttivo, forse offensivo. La sua scrittura rivela una sensibilità particolare che fa il paio con la sua creatività. Guardando le stampe, le sculture, le illustrazioni di Mark si ha l’impressione che viva nell’epoca sbagliata per le sue qualità, oppure che ci vorrebbe un mecenate contemporaneo che ne “sfruttasse” tutte le doti.



Mark è del ’62 e vive attualmente a Oxford. Prima di dedicarsi alle illustrazioni e ai fumetti per riviste, ha lavorato sin da giovane con disabili e soggetti autistici. Sarà per questa consuetudine che Lo strano caso del cane ucciso a mezzanotte è scritto dalla prospettiva di un quindicenne affetto dalla sindrome di Asperger, e gli è valso diciassette premi sia nella categoria narrativa per adulti che narrativa per bambini, tra cui il Whitebread Book of the Year (2003).



Autore radiofonico e televisivo, sceneggiatore e commediografo, Mark ha scritto quindici libri per ragazzi, e solo tre per noi adulti, oltre a una raccolta di poesie.

La casa rossa è uno di questi tre. Parla di due famiglie che passano sette giorni in una casa. Le due famiglie sono imparentate. Una è quella di Richard, benestante radiologo, con la moglie Louisa e la figlia di lei, Melissa. L’altra è quella di Angela con Dominic, il marito non realizzato, e i tre figli Alex, Daisy e Benjamin.

Angela e Richard sono fratelli ma non si frequentano da vent’anni. La malattia e poi la morte della madre li ha separati esasperando le differenze con cui entrambi hanno fronteggiato il distacco, oltre i soliti guai familiari e i rancori tipici dei consanguinei. Il ricco e “arrivato” Richard decide quindi di regalare una settimana di vacanza alla sorella Angela per ristabilire un contatto, e affitta una casa al confine con il Galles. Alla fine cosa ci sarebbe di così originale nel parlare di famiglie con i conti in sospeso? È sempre il modo che fa la differenza, il modo in cui si posa lo sguardo che rende vivi anche i sassi.



Leggendo questo libro il lettore guarda la realtà da una prospettiva inconsueta, come fosse la formica che, su un prato, sta per essere schiacciata dalla scarpa di un passante del tutto inconsapevole. 

Il racconto è scandito attraverso i giorni della settimana. Sin dal principio è chiaro che protagonisti e ambiente sono un tutt’uno. I sentimenti dei personaggi sono costantemente accompagnati da descrizioni sensoriali. Il fuori, con la brina del mattino, la pioggia, il volo degli uccelli, il sole che muore, il dentro con la cena da cucinare, le verdure da lavare, i letti da rifare accompagnano gli stati d’animo di ognuno di loro.

La realtà viene frammentata nello sguardo del lettore: il discorso interiore di un personaggio finisce nella sensazione di un altro in un unicum fluido. Così si passa dai pensieri peccaminosi dell’adolescente Alex allo sfrigolio nella padella su cui Dominic impegna la sua frustrazione di musicista sprecato; dal timore spirituale della devota Daisy all’insofferenza di Melissa che nasconde la più tipica delle violenze adolescenziali nell’era dei social network.

Gli otto personaggi si presentano al nostro sguardo un po’ alla volta (è il caso di dire giorno per giorno), li conosciamo come ricomponendo le schegge di un piatto rotto, sbagliando a metterle insieme perché il passaggio dai pensieri alle azioni non sempre è immediato o chiaro. Così le schegge ricomposte ci mostrano la personalità ma anche il dramma dietro un atteggiamento. I ricordi di cose piacevoli o emblematiche del passato sono interrotti dai banali eventi della quotidianità: una pentola da sgrassare, un asciugamano da appendere, un tè da scaldare. Apparentemente gesti inutili, ognuno di essi ha una funzione narrativa determinante, e traghetta il lettore dall’ora all’allora, rendendo possibile conoscere alcuni dei fatti che hanno ridotto il personaggio nello stato attuale, dandogli così spessore. Lo scavo emotivo compensa la quasi totale mancanza di descrizioni fisiche. Ognuno di essi, pensando ai propri dèmoni, ci rivela qualcosa degli altri, involontariamente. Le debolezze umane, nelle diverse forme, sono incarnate in tutti loro, anche nel piccolo Benjy, di soli otto anni, alla fine il più risolto, il cui universo popolato da ninja, mostri e spade non è ancora stato corrotto dal virus dell’esperienza, che rende gli adulti così tristi e insofferenti.

In qualche modo questa breve vacanza non serve tanto a Richard e Angela per ricollegarsi come fratelli, quanto per trovare una collocazione a ognuno degli otto personaggi, una ragione di esistere in quel mondo, in quel momento. Questo non vale solo per i tre adolescenti che, per definizione, sono alla ricerca di se stessi, ma anche e soprattutto per gli adulti che sono giunti alla casa rossa con le certezze date per scontate dall’età e dall’esperienza, e che invece si rivelano insufficienti, talvolta addirittura fallaci. E Mark lascia aperte le singole questioni che si sono ricomposte, insieme alle schegge, sotto i nostri occhi: la paziente di Richard sulla sedia a rotelle per il suo intervento sbagliato, la relazione extraconiugale di Dominic con la psicolabile Amy, l’incapacità di Angela di superare i traumi familiari a distanza di anni e quella di Louisa di educare Melissa, la fede-paravento di Daisy che nasconde la sua omosessualità anche a se stessa, l’esorbitante egoismo di Alex che ne fa un individuo anaffettivo. Sullo sfondo una natura verde e generosa che ridimensiona i protagonisti a fragili pedine di un disegno più grande.

Richard e Angela sono la prova che gli stessi eventi vissuti nello stesso momento, nella stessa famiglia, possono essere ricordati (e rivissuti) in modi opposti o almeno divergenti. Il fine ultimo della vacanza viene disatteso perché fratello e sorella rimarranno distanti proprio conoscendosi di più. Invece ognuno porterà a casa qualcosa di se stesso che prima non aveva, una consapevolezza del proprio limite che solo l’interazione con gli altri sette ha reso possibile.