La recente pubblicazione in lingua italiana di una raccolta di discorsi e interviste di Stéphan Hessel (Agli indignati di questa Terra! Dalla protesta all’azione, Liberilibri, 2013), nonché l’apparizione dell’ultimo (in ordine di tempo) movimento radicale di protesta, quello dei Forconi, forniscono lo spunto per tornare a parlare della crisi della politica.



Di Hessel (Berlino 1917-Parigi 2013) ricordiamo il pamphlet del 2010 Indignatevi!, il cui successo editoriale (3 milioni di copie vendute in lingua francese, senza contare le traduzioni in più di trenta lingue) è stato accompagnato dalla diffusione di movimenti di protesta che a esso si ispirano – dagli Indignados spagnoli a Occupy Wall Street. Il messaggio di Hessel è chiaro: occorre passare “dalla protesta all’azione” (come recita il sottotitolo di Agli indignati di questa Terra!). In altri termini, l’indignazione è solo il primo passo. Ora occorre passare alla solidarietà concreta facendo leva sulla “compassione”, il sentimento umano più potente. Non importa che le soluzioni adombrate (la trasformazione dell’Onu in un governo mondiale che ponga l’economia sotto controllo statale) risultino infauste e irrealistiche. Per Hessel il principio che anima l’indignato infatti è che se la realtà rifiuta di adeguarsi all’ideale allora tanto peggio per la realtà.



È proprio tale radicalismo moralista che risulta interessante per chi cerca di comprendere qualcosa dell’evoluzione della politica contemporanea. In Italia il moralismo gioca un ruolo politico centrale almeno da Mani pulite in avanti. In questi vent’anni sono stati vari i movimenti che hanno fatto dell’indignazione il proprio motore, approfittando della grave e colpevole incapacità del sistema politico di rinnovare se stesso. Ci sono comunque dei fattori ricorrenti. La pretesa di rappresentare tutta la parte sana della nazione e il conseguente dualismo manicheo (“casta” contro “anticasta”, “loro” contro “noi”). Il millenarismo, vale a dire la convinzione di vivere uno snodo decisivo che può portare al definitivo tracollo oppure inaugurare una nuova epoca di pace e prosperità. La massiccia dose di populismo demagogico che serve a identificare i colpevoli e a semplificare i problemi. 



Ciò che più di tutto caratterizza il nostro paese rispetto a casi analoghi nel mondo occidentale è tuttavia un salto di qualità che ci pone in certo senso all’avanguardia. Grazie a un sapiente e spregiudicato uso della rete l’indignazione è stata recentemente usata per una formidabile operazione di marketing politico che non ha precedenti. È ciò che si evince dalla più recente fatica di Alessandro Dal Lago: Clic! Grillo, Casaleggio e la demagogia elettronica (Cronopio, 2013).

La tesi fondamentale del sociologo italiano, che merita perlomeno di essere discussa, è che il M5S è il primo caso di movimento politico reale subordinato (a norma di statuto) a uno spazio virtuale, il blog beppegrillo.it. In altri termini, per Dal Lago siamo di fronte al caso inaudito di rappresentanti del popolo democraticamente eletti nelle varie istituzioni (comuni, regioni, parlamento) governati da un blog.

La cosa interessante del M5S è che tale situazione viene presentata dai due suoi leader Grillo e Casaleggio come normale e normativa in un futuro più o meno prossimo. Basta leggere il loro volume Siamo in guerra (Chiarelettere, 2011). La prospettiva è quella di un mondo che coinciderà sempre più con la rete – anzi, con la “Rete”, nuova entità metafisica che prende il posto del vetusto “Essere”. Entro al massimo vent’anni si prevede e si auspica la scomparsa dei giornali, delle televisioni e dei libri, nonché della distinzione tra chi “produce” l’informazione e chi ne “fruisce” (interessante la scelta dei verbi che tradisce una concezione dell’informazione come mero bene economico). La Rete inoltre realizzerà l’utopia della democrazia diretta, in quanto ogni cittadino potrà esprimersi su qualsiasi argomento e decidere in merito a leggi e nomine politiche con un semplice “clic”. La guerra a cui si allude nel titolo è quella tra “noi” e “loro” (la casta politica oligarchica e gerontocratica) che fa di tutto per ritardare l’avvento della nuova era.

Ora, l’aspetto più inquietante di tale prospettiva sta nel fatto che essa è già in parte realizzata: oggi il M5S conta centinaia di eletti a livello locale e nazionale e incide profondamente nella politica nazionale. Un movimento politico reale prodotto da uno spazio virtuale, appunto. 

Le principali conseguenze politiche di ciò riguardano gli effetti sui soggetti politici, sulla loro psicologia. Grazie alla sua dimensione virtuale, dice Dal Lago, il M5S ha eliminato non solo sedi e funzionari ma anche manifestazioni, assemblee, incontri pubblici mutando di conseguenza “l’antropologia dei soggetti che fanno (o credono di fare) politica”. I suoi militanti nessuno li conosce, se non quando sono eletti. Essi agiscono infatti in una nuova sfera politica virtuale: “la sfera pubblica, tradizionalmente associata alla visibilità, è mutata radicalmente”. Una sfera pubblica in cui il contraddittorio è ininfluente, poiché o è neutralizzato dalla compresenza di migliaia di commenti o è ridotto al mero insulto. E che ruolo può giocare il dibattito laddove l’unica alternativa possibile è quella tra “noi” e gli “altri”, tra il Bene e il Male, in una sfera pubblica in cui il prendere parola in pubblico, l’uno in presenza dell’altro, è sostituito da una “partecipazione pulviscolare, digitale e totalmente astratta”? 

L’ho già rimarcato da queste colonne: uno spazio pubblico esiste solo se è possibile la fatica dell’incontro con l’altro e la tensione alla condivisione del suo punto di vista. Un incontro che coinvolge la persona nella sua interezza di spirito e di corpo e che rende possibile la riflessività, l’allargamento della mente e la scoperta di nuove dimensioni del reale. La riduzione virtuale dello spazio pubblico, dice Dal Lago, si paga a caro prezzo: “Non mettere la faccia in gioco significa non avere una faccia“. 

In definitiva il fenomeno M5S ci pone di fronte una visione che è già in parte realtà, quella di un mondo spoliticizzato e privatizzato in cui solo le grandi multinazionali digitali o i social network permettono l’accesso al “mondo fatato della Rete”. Un mondo di soggetti la cui unica azione possibile è in definitiva quella di un “clic”.