Quale oggi l’attualità del pensiero e del lavoro di Hannah Arendt? Ilsussidiario.net lo ha chiesto al professor Costantino Esposito, ordinario di Storia della filosofia all’Università di Bari ‘Aldo Moro’: “L’attualità di Hannah Arendt, detto in un sol tratto, è quella di aver aperto la politologia a un fattore che è squisitamente legato alla vita cosciente dei singoli individui”. Il professor Esposito ci spiega nel dettaglio cosa significhi: “Il fatto cioè di aver posto fortemente l’attenzione sul grande peso che il pensiero ha rispetto anche alle vicende storiche e politiche del mondo. Intendendo il pensiero non come una facoltà astratta dell’uomo ma come quella che lei chiamava la vera ‘vita della mente’, la capacità cioè che ciascun uomo ha di cercare e di cogliere un significato adeguato per vivere e per agire”. Tutto questo trova applicazione in quello che Hannah Arendt sosteneva fortemente, e cioè che “i totalitarismi nel Novecento nascono proprio dal fatto di inibire sistematicamente questa capacità del pensiero dell’uomo”. Tra le tante opere della scrittrice, filosofa ed educatrice si ricorda certamente La banalità del male (1963) che all’epoca venne criticato non poco e che è al centro anche di un film recente di Margarethe von Trotta: “Lo scritto” ci spiega Esposito “ebbe una importanza dirompente rispetto anche al contesto in cui nacque. Hannah Arendt era stata inviata dal settimanale New Yorker a seguire il processo contro il gerarca nazista Adolf Eichmann a Gerusalemme. Ma piuttosto che individuare in Eichmann, come ci si aspettava, il male assoluto, il punto di malvagità ingiustificabile, lei gettò questo sguardo impietoso ma di grandissimo realismo sul fatto che il male spesso si nasconde nelle pieghe delle decisioni ordinarie e professionali degli uomini ‘normali’”. In questo senso, spiega ancora Esposito, “le decisioni da cui Eichmann tentava di difendersi erano da lui giustificate con il fatto che stava ‘solo’ eseguendo degli ordini. Tutto questo da alcuni fu preso come una terribile giustificazione di quello che sembrava ingiustificabile, e la polemica contro Arendt divampò durissima da parte degli stessi ambienti ebraici. Tuttavia, dopo quella discussione rimane ancora viva, come un paradosso che non si può censurare, la questione da lei posta, e cioè che il male continua ad essere una possibilità terribile ma aperta di fronte alla nostra libertà, che tutti realisticamente possiamo fare”. Nei suoi anni giovanili invece Hannah Arendt scrisse uno studio intitolato Il concetto di amore in Agostino: che importanza ha nel suo lavoro complessivo? “E’ un’opera molto significativa non solo dal punto di vista filosofico ma anche esistenziale e biografico. E’ la sua tesi di laurea scritta  ad Heidelberg sotto la guida di Karl Jaspers (e pubblicata nel 1929), benché lei fosse stata – come è noto – allieva, amica e amante del filosofo Martin Heidegger. A un certo punto, lei sceglie di staccarsi da lui e scrivere la tesi con Jaspers anche perché il rapporto con Heidegger aveva preso una piega insopportabile, non essendo lui disposto a rendere pubblica la loro relazione. Tuttavia nello scritto sul concetto agostiniano di amore si avverte molto l’influsso del pensiero heideggeriano”. In particolare, aggiunge Esposito, “l’idea che il pensiero dell’uomo è sempre una conoscenza ‘affettiva’, segnata da quegli ‘stati d’animo’ o ‘tonalità emotive’ che sono ben più che condizioni psicologiche, bensì vere e proprie disposizioni ontologiche della vita, le quali fanno sì che il pensiero sia sempre una realtà vivente”. Conclude il professor Esposito: “Ma Agostino, pur essendo Arendt un’ebrea non credente, paradossalmente è sempre stato un punto di riferimento imprescindibile nella sua ricerca politologica ed esistenziale. In particolare questa frase, che lei riprende alla fine del suo grande volume su Le origini del totalitarismo (1951): ‘Initium ut esset, creatus est homo’, l’uomo è creato per cominciare, per dare inizio a qualcosa. Ogni singolo uomo è sempre come un nuovo inizio nel mondo. E’ proprio in questa stupefacente capacità di iniziare, è in questa continua ‘natività’ che risiede l’unica, vera arma contro i totalitarismi di tutti i generi”.



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