Da oggi in Italia è finalmente distribuito il film Cristiada. Una lunga, inspiegabile attesa ha termine, e finalmente sarà possibile vedere sul grande schermo questo film che rievoca una delle pagine più drammatiche e commoventi della storia del ventesimo secolo: l’epopea dei cristeros, i martiri messicani uccisi per la fede negli anni Venti e Trenta dello scorso secolo. Un film a sua volta epico, commovente, con grandi interpreti come Andy Garcia e un intensissimo Peter O’Toole, con il grande attore irlandese recentemente scomparso alla sua ultima interpretazione.



Come spiegare il lungo boicottaggio subito da questo film, che ha tutti gli ingredienti per avere successo: spettacolarità, plot narrativo avvincente, grandi interpreti? Cosa disturba di questa storia di martirio di un popolo? Occorre anzitutto partire da una premessa ineludibile: la storia viene scritta dai vincitori. Gli stessi vinti hanno imparato a leggere tra le righe di quanto viene detto sulle loro vicende. Spesso dalle versioni ufficiali prendono vita le contro- storie, i tentativi —magari ostacolati anche duramente — di proporre ipotesi diverse, di far sentire altre voci, di cercare altre ragioni. Il dramma è quando la storia non viene scritta. 



Peggio della damnatio memoriae non c’è che l’assenza di memoria: dimenticare, come se nulla fosse accaduto, o far finta di non ricordare, che comunque dà il medesimo esito: la relegazione nell’oblio. 

Nel corso del ventesimo secolo, dolorosamente percorso da immani tragedie, risultato non solo dei diversi totalitarismi ma soprattutto del clima ideologico e culturale venutosi a determinare dopo duecento anni di sogni (o sarebbe meglio dire incubi) della ragione, che ha voluto violentare la natura e l’uomo in forza delle pretese dell’utopia e delle sue realizzazioni pratiche, si è verificato un evento di considerevole importanza e che incredibilmente è stato soggetto ad una lunga censura storiografica, la rivolta dei cristeros. Si trattò di una grande insurrezione, di una guerra civile che ebbe luogo in un paese importante come il Messico, che durò tre anni e che si trascinò poi per moltissimo tempo, lasciando effetti duraturi sulla struttura politica e sociale del paese, e determinando in maniera irreversibile il destino non solo messicano, ma forse dell’intero sub-continente latino- americano. 



Fu un conflitto che si determinò con caratteristiche che pure dovrebbero attirare l’attenzione degli studiosi, in primo luogo, ma anche di chi abbia a cuore valori come la libertà, i diritti umani, la giustizia sociale: la rivolta dei cristeros fu infatti il più importante moto autonomo contadino avvenuto nell’America latina in tutto il ventesimo secolo, e certamente uno dei principali a livello mondiale. La rivolta fu soprattutto la reazione di una società contadina, tradizionale, cattolica, all’aggressione perpetrata dallo stato autoritario uscito dalla rivoluzione degli anni Dieci, uno stato formalmente espressione della rivoluzionaria volontà popolare, ma in realtà profondamente estraneo al popolo “vero”, quello che viveva nei barrios delle grandi città come quello delle campagne, come gli indios delle foreste.

Una rivoluzione, quella messicana, che ha goduto altresì, rispetto ai cristeros, di ottima (e immeritata) fama, di vasta pubblicistica, persino dell’onore di essere considerata — sino alla rivoluzione cubana di Fidel Castro — il più importante rivolgimento dell’ordine politico e sociale avvenuto nell’America latina, in grado di produrre, a differenza degli infiniti pronunciamientos succedutisi in precedenza nel continente, una reale e radicale trasformazione. Il martirio del Messico, dove andò al potere agli inizi degli anni Venti un potere massonico ferocemente antireligioso che si proponeva di sradicare il cristianesimo dal paese, è un esempio paradigmatico di  storia negata.

cristeros combatterono, soffrirono e morirono per la loro fede, per difendere la libertà religiosa, ossia, detto in termini pratici, la possibilità stessa di accedere ai sacramenti, di avere, per sé e i propri figli un’istruzione cristiana, di poter trasmettere e comunicare liberamente la fede stessa. Questo sacrificio di sangue che settant’anni fa vide una intera nazione cattolica brutalizzata da un governo che si era prefisso di estirpare dal popolo ogni radice di religiosità, è senz’altro meritevole di giungere ad interpellare e, perché no?, a scuotere e a commuovere le coscienze spesso pigre e intorpidite dei credenti. 

Quello dei cristeros è stato il martirio tipico del ventesimo secolo, epoca caratterizzata  dai reiterati tentativi di costruire, oltre che nuove società, “uomini nuovi”. Questi tentativi hanno tutti lasciato dietro di sé una spaventosa scia di sangue. La rivoluzione messicana fa parte, a buon diritto, della schiera di questi “esperimenti” poligenetici, e analogamente agli altri scatenò la furia rabbiosa della persecuzione contro la religione, contro ciò che costituiva l’anima della nazione messicana, il suo tessuto connettivo, il fondamento stesso dell’ordine civile e umano. 

In una rivoluzione, come tentativo di esercizio arbitrario e totalitario del potere, è necessario colpire anzitutto la libertas ecclesiae. Laddove infatti la Chiesa è libera nell’adempimento della sua missione, cioè andare con Cristo incontro agli uomini, c’è inevitabilmente libertà  per l’uomo. Per questo motivo nel nostro secolo le guerre sono state, soprattutto, guerre contro la religione. Ogni progetto di nuovo ordine e di uomo nuovo è stato impegnato in primo luogo nello sbarazzarsi, ideologicamente e materialmente, della ingombrante presenza di chi ha avuto la pretesa di definirsi Via, Verità e Vita.

cristeros, da padre Vega al generale Gorostieta fino all’ultimo dei volontari, fino al più piccolo, come il ragazzo-martire Josè Del Rio, come ogni martire per la fede in tutta la storia della Chiesa, erano molto di più che degli avversari politici, dei membri di una fazione avversa al potere di turno: erano dei testimoni di questa Verità e di questa Via, testimoni per mezzo di una vita intensa e credibile, e per questo insopportabile per il nemico. 

Guardare alla storia tragica e splendida dei cristeros significa comprendere cos’è il cristianesimo, e perché valga la pena battersi per Cristo Re, anche quando è la Chiesa stessa (o per meglio dire alcuni prelati) a tradire, per paura, per debolezza, per cercare di compiacere il mondo. I cristeros, abbandonati dalle gerarchie, abbandonati dalla Curia romana, continuarono a restare aggrappati a Cristo, che non vollero tradire, che non vollero abbandonare. Una tragedia splendida che ci insegna molto per il presente e il futuro della Chiesa.