«…Arrivai ad una strada che da un solo lato era fiancheggiata da vecchie case e dall’altro costeggiava un precipizio. In quel precipizio è Matera…». È un passaggio celebre del Cristo si è fermato a Eboli di Carlo Levi. Ma Levi, oltre a quelle pagine impressionanti, scritte nel 1945, in cui raccontava la vita di miseria della popolazione dei Sassi, ammetteva anche questo: «Matera è una città bellissima!». Disastrosamente povera e insieme bellissima: in questa polarità si è sempre giocato il destino della città che ieri, con scelta molto saggia, è stata scelta come Capitale europea della cultura 2019.
Quelle pagine di Levi fecero presto il giro del mondo e richiamarono nella città lucana urbanisti, sociologi, architetti e fotografi (arrivò anche il grande Cartier Bresson), tutti impegnati a capire e proporre. Venne coinvolta l’Unrra Casas, l’ente che gli americani avevano pensato per aiutare i paesi nella ricostruzione post bellica e ai cui vertici c’era Adriano Olivetti. Fu lui nel 1954 a convincere gli americani che non bisognasse pensare solo alle zone bombardate e, coinvolgendo anche un grande architetto come Ludovico Quaroni, varò il progetto della Martella, un insediamento moderno da destinare agli abitanti dei Sassi, concepito come una nuova struttura urbana a carattere rurale, che teneva conto delle esigenze organizzative delle comunità agricole. Il progetto però incontrò l’ostilità della Democrazia Cristiana e l’indifferenza del Partito comunista. E Olivetti si trovò isolato a difendere quell’utopia che tanto anticipava i tempi.
Passarono 10 anni e nel 1964 a Matera si palesò un altro grande della cultura italiana: Pier Paolo Pasolini. Era alle prese con un progetto a cui teneva moltissimo, un film tratto dal Vangelo secondo Matteo, e stava cercando la location giusta, avendo deciso di non girare in Terrasanta dove pure aveva fatto un sopralluogo, per evitare di fare un film troppo didascalico. Vide Matera e capì immediatamente che quello il set giusto. Era una sorta di Gerusalemme vivente, dove passato e presente finivano con il coincidere. Pasolini voleva fare un film che non avesse nulla di rievocativo ma che stesse “sulla pelle” delle persone oltre che naturalmente sulla sua. Un film di oggi e per l’oggi. E Matera oltre che al contesto gli fornì anche le comparse, volti “già fatti” per rivestire i panni di testimoni della storia di Gesù. È bellissima ad esempio al testimonianza di Domenico Notarangelo che PPP scelse per fare il Centurione e che essendo fotografo scattò di soppiatto alcune immagini che oggi sono su tutti i libri di storia del cinema. Racconta di come spesso avesse sorpreso Pasolini silenzioso meditare a lungo, davanti alla vista di Matera. «Era come se vedesse Gerusalemme», ha raccontato.
Il film lo sappiamo, fu un capolavoro. E giustamente Matera 50 anni dopo gli ha dedicato una mostra bellissima, affidata al grande estro allestivo di Joseph Grima, che sta avendo anche un grande successo di pubblico. È una mostra pensata per preparare la città alla candidatura come Capitale della cultura, proprio collegando la storia al futuro. Olivetti e Pasolini sono infatti testimonial di una città che vuole spingersi nel futuro ma che vuole essere profondamente se stessa, fedele alla propria storia.
Il dossier presentato dal comitato di Matera 2019, presieduto da Paolo Verri, è stato vincente, perché ha sposato un’idea di cultura come memoria e insieme come motore di innovazione sociale, invece di puntare (come si fa abitualmente in Europa) su una spettacolarizzazione affidata ad archistar o su un’innovazione modaiola. Così, contro l’insopportabile fatalismo di chi vede l’Italia come una sentina di problemi, di chi guarda al sud come un problema irredimibile, il caso Matera dimostra che l’Italia è molto più vitale di come ci viene raccontata. Sarà vero che tanti cervelli vanno all’estero, ma evidentemente ancora di più sono quelli che rimangono e che hanno voglia di disegnare un futuro. Anche perché disegnare il futuro di un paese bello come questo e di città come può essere Matera è l’avventura culturalmente più appassionante che si possa immaginare.