Che papa è stato Montini? Di pochi pontefici del Novecento sembra ancor oggi così arduo riassumere la testimonianza pastorale in un’immagine (come invece, ad esempio, restano impressi nella memoria collettiva: il “papa buono”, il “papa del sorriso”, “Giovanni Paolo II il grande”…), quanto per lui, lui che pure ha portato a termine il Concilio Vaticano II ed ha aperto una nuova grande stagione del dialogo religioso con il suo storico viaggio a Gerusalemme del 1964.  Allo stesso tempo, quante etichette forse troppo frettolose e superficiali ha ricevuto il pontefice bresciano, alcune già regnante, le più dopo la sua dipartita terrena. 



Considerato, a un tempo, da una parte come un progressista e dall’altra un conservatore, sul piano teologico come su quello pastorale, prima inneggiato in certa cultura cattolica come profeta di rinnovamento con la Populorum Progressio, e poi dileggiato quasi come un oscurantista a partire dalla Humanae Vitae, sempre più solo negli ultimi, faticosi anni del suo regno, Paolo VI resta a tutt’oggi una figura non pienamente messa a fuoco nella storia della Chiesa contemporanea, mentre dal punto di vista ecclesiale l’elevazione agli altari va oggi doverosamente a riconoscere una devozione che oggettivamente è tuttora — anche a dispetto dei media — assai diffusa. 

Una via, allora, che mi è sembrata interessante per approfondire il profilo del pontefice mio concittadino — avendo personalmente raccolto tante sue carte in diversi archivi vescovili e diocesani delle maggiori città italiane —, è stata quella di indagarne il rapporto con un’altra grande figura dell’episcopato italiano e internazionale, quella del papa “non eletto” (secondo la nota definizione di Benny Lai), il card. Giuseppe Siri di Genova, presidente “fondatore” della Conferenza episcopale italiana. L’ho fatto qualche anno fa nel saggio Siri e Montini (Marietti 2009). Le due figure sono state da molta precedente storiografia dipinte secondo opposte linee di conservatorismo (Siri) e aperturismo (Montini) ecclesiastico. E, in effetti, su diverse questioni — anche centrali — che hanno interessato la Chiesa romana, italiana e internazionale, i due presuli spesso si sono trovati su versanti opposti, sino all’elezione di Montini al soglio pontificio e il quasi contestuale ritiro di Siri dalla conduzione della Cei. Mia convinzione è che l’esperienza come papa, con le sue diverse problematiche, abbia spinto ultimamente Montini a “rivalutare” la linea di Siri, subito dopo la conclusione del Concilio. 

Si veda il resoconto che Siri fa della sua udienza con Paolo VI il 21 aprile del 1966: una fonte se si vuole univoca, comunque suffragata da recenti contestuali episodi, quali ad esempio la diffusione della Nota Praevia che andava a “limitare” la sottolineatura del ruolo collegiale dell’episcopato. Pare qui che Montini stesse avvertendo la necessità di rallentare una corsa al rinnovamento alla quale — non si capisce se e quanto sempre del tutto volontariamente — egli stesso aveva dato alimento.

Così sembrerebbe che il papa, a un dato punto, cominciasse a condividere la preoccupazione di Siri circa i rischi di uno “scivolamento” dogmatico del mondo ecclesiale: «Sono entrato in argomento — scrive il porporato di Genova —. L’editoria cattolica italiana dice cose che dividono il clero sul terreno dottrinale e perfino i seminari. Ho portato un esempio dalla stessa Civiltà Cattolica. Gli imprimatur si danno con notevole incoscienza. Il Papa è interessato e preoccupato. Si scivola sull’argomento teologico. Dico: non si studia più [elenco di temi teologici]… si parla di Rahner di Congar di Danielou e ciò parla chiaro. Mi appello a Heidegger, Bultmann veri ispiratori di molti cattolici, al loro relativismo asfissiante. Mi accaloro. Il Papa mi segue, mi dà ragione, capisco o mi pare capire che qualcosa gli si fa più chiaro […] Si parla di Concilium e se ne lamenta. […] Lui dice “anche il Papa è felice di avere appoggio in collaboratori saggi e onesti come Sua Eminenza”». 

Siri, poco oltre nel tempo, si sente libero di denunciare al papa, in una lettera del 1° novembre 1967, il crescente sconcerto da lui percepito tra i fedeli per la campagna di diffusione dei metodi anticoncezionali ed in particolare della pillola, anche in ambito cattolico: «Non è raro trovare confessori che irrazionalmente e con leggerezza ritenendo superato ogni limite posto dalla Morale tradizionale, autorizzano i fedeli ad usare metodi anticoncezionali. Il danno di questo stato di cose è notevolissimo e rischia di contagiare, a poco a poco, tutta la vita morale attribuendo a santissime e supreme leggi divine del costume lo stesso stato di decadenza, che indebitamente attribuiscono alla morale familiare. I pastori d’anime sono in vera e grave angustia. In conseguenza di tale stato di fatto, ecc, PADRE SANTO, la mia umile sommessa preghiera. 1 – si degni la SANTITA’ VOSTRA di dare una norma, la quale sia pertanto valevole a togliere le confusioni esistenti e a dare una comune regola a tutti i credenti. 2 – Si degni la SANTITA’ VOSTRA di dare ai Suoi figli in questa delicatissima e fondamentale materia la norma TRADIZIONALE …». 

Se Montini legga e approvi esplicitamente questa netta presa di posizione o meno non è ancora confermato al momento: egli però, proprio in quei giorni, si appresta a scrivere l’enciclica Humanae Vitae, promulgata poi il 25 luglio del successivo 1968, che va comunque nel senso indicato da Siri, benché non ricorra in essa espressamente la parola “tradizione”. 

Anche il grande vaticanista Lai a più riprese ha fatto riferimento a un rinsaldamento del legame tra Siri e Montini dalla fine degli anni Sessanta, che parrebbe peraltro confermato da una lettera dell’arcivescovo di Genova del 14 dicembre dello stesso 1969, dove si presenta un’apertura, anche emotiva, nei confronti del pontefice, piuttosto sorprendente: «Sono coi dolori e preoccupazioni della Santità Vostra. Mi pare che nulla abbia da presentarvi di meglio della fedeltà senza riserve. E credo anche che questa fedeltà sola possa rendere serio l’augurio che Vi presento per il Santo Natale. Vogliate benedirmi!».

Mi pare che tale moto di adesione personale a non meglio specificati dolori e preoccupazioni di Montini si possa legittimamente collegare al grande travaglio che Montini stava attraversando dopo la pubblicazione della Humane Vitae, e che pertanto proprio i pronunciamenti di Paolo VI sulla morale sessuale e sulla sacralità della vita umana possano aver costituito un fondamentale passo di riavvicinamento tra i due uomini di Chiesa. Nella breve lettera augurale sembra a tratti emergere un contesto ambientale piuttosto sfavorevole per il pontefice bresciano, pure evocando, sebbene al negativo, casi di allontanamento se non proprio di tradimento nelle entourage papale (si parla di «quelli che pencolano da una parte o dall’altra»). 

Più avanti, papa Montini scriverà all’arcivescovo di Genova il 14 maggio 1974, di proprio pugno, ringraziandolo «… per la preziosa nota che Egli ci manda, premurosamente memore di un nostro desiderio, sul “Pluralismo religioso”. Faremo tesoro di tali opportune precisazioni, oggi più che mai opportune per la tutela di una dottrina dall’univoco contenuto della verità della fede, nella varietà delle sue espressioni didattiche e nello sviluppo del suo approfondimento teologico. Grazie vivissime».

Se la figura del beato Giovanni Battista Montini merita certamente, ancor oggi, un ulteriore e sereno scavo biografico, già da sola questa breve corrispondenza con un altro grande uomo di fede potrebbe aiutare a rinvenire nello spirito del pontefice bresciano l’esigenza di una salda dottrina, e soprattutto anche la capacità di rivedere passati atteggiamenti di eccessiva apertura a tentativi d’innovazione forse non sempre ortodossi della Chiesa. Un quadro personale che credo non solo non offuschi, ma anzi supporti la scelta appena assunta di eleggerlo agli altari.