Avevo una maestra unica, Bruna, piccola ma robusta; portava un grembiule nero sintetico, baffi neri, e tutte le mattine in aula schioccavano scintille. Tra le sue molte regole esisteva quella per cui tre cose si dovevano mandare assolutamente a memoria, senza il bisogno di alcuna spiegazione da parte sua; queste erano, in ordine: le caselline, le declinazioni verbali, le poesie. Non si discuteva, si rispondeva, interpellati a sorte.



Noi ci bevevamo tutto, le sue labbra erano sacre, obbedivamo come macachi. Così sono cresciuta senza domandarmi come mai due per due fa quattro (quanti i miei figli), perché io vado e non “ando”, nonostante noi si vada tutti se si deve andare, e che le poesie non serve capirle, basta siano belle. 

Le poesie si devono vedere (ritorna la cavalla storna a sera), si annusa la nebbia agli irti colli e si sente l’odore (quello della cantina di mio nonno, il mosto e lo stantio del tempo), si annusa una poesia, si ode lo squillare di un campanello solo atteso, il gemmare della parola “fratelli” nella notte della guerra, si gioca il girotondo coi bambini di Ada Negri. Non serve essere in quinta per le più difficili, non esistono poesie facili per i piccoli o più difficili, per i grandi.  



Non serve capire la poesia per amarla. 

Tanto non si capirà mai del tutto, mai abbastanza. Essa non è una spiegazione, né un ragionamento, meno che mai un artificio tecnico-linguistico. La poesia è una rivelazione.

Ha a che fare col sogno e con la visione. Più vicina al miracolo che alla parabola.

Con tali criteri instillati nella testa, voi capite che sono diventata un po’ difficile nella scelta della poesia bella. Sono davvero una iena, capace di sbranare qualsiasi testo, soprattutto i miei. Potete allora credermi se vi dico che si scrivono ancora belle cose qui da noi. Poesie piene, notevoli, sonore, ma soprattutto capaci di mostrare sempre il “più in là” di montaliana memoria.



Una di queste fa così:

Mio nonno aveva una barca
si chiamava Dio è grande
con lei usciva solo la notte
nel mezzo del nero
e nelle tempeste la chiamava Dio è grande.
Era la sposa del nome la sua barca
Vedeva le fauci ai mostri marini
digiuni dal tempo della creazione,
sentiva la superstizione dell’amore,
il lamento degli annegati che chiamano
e sono statue di sale.
E sempre la chiamava Dio è grande.
Aveva una barca invocazione
cambiò direzione e lo portò al cielo.

Chi la ha scritta è una ragazza esile con un nome biblico e siciliano: Sarah Tardino.

Potete trovare di lei in giro per il web, è molto che si è impelagata con la poesia, ha già numerose pubblicazioni nel suo curriculum.

Questa fa parte di una nuova raccolta, in prossima uscita presso l’editore Raffaelli di Rimini e si intitola L’ombrello rosso; c’è la favola, la bambina e la visione.

C’è il colore, il rosso, ma non quello del cappuccio che copre e nasconde, piuttosto quello che protegge dalle intemperie, colora la volta del cielo al tramonto; tinge i pensieri futuri.

Nella poesia che vi ho trascritto, splendida, c’è anche il rosso delle fauci dei mostri, il nero della disperazione, i lampi, e il bianco del sale della moglie di Lot.

Una visione infernale, dantesca, ma il nonno della poeta non è Ulisse, lui si addentra nel nero per vivere, per pescare (e i pescatori sono sempre apostoli).

C’è l’acqua del dolore, il legno del coraggio, della croce, e l’invocazione, il chiamare dell’uomo che viene tratto dal mare, spinto dal vento che spira, fattosi improvvisamente buono.

La Tardino battezza “sposa del nome la sua barca”; qual’è il nome della sposa di Cristo che ci salva?

Dove si contrae un matrimonio, eterno, già salvo?

La Chiesa come L’Arca di Noè, l’Arca dell’Alleanza che mantiene la Promessa…

Ma come si fa a mettere tutta la nostra tradizione evangelica, biblica, umana, dentro la visione-tempesta di un uomo che va per mare? Tutta la nostra disperazione e la speranza, e la salvezza?

Nel mare più nero, l’invocazione-scialuppa ci porta al di là delle colonne d’Ercole, “più in là”, al sicuro, salvati.

Questa poesia è stata messa su carta ormai da qualche anno; ma per tutti i migranti che ci attraversano il mare di casa, annuncia una barca, fatta di invocazione, che da qualche parte li porterà, profetica.

Ancora una precisazione: Sarah la poeta dice che l’amore (anche quello dei mostri creati) può essere una superstizione; mai così vero.

Una superstizione-sirena, che chiama dal fondo del nero; se l’amore è vero, si vede bene da dove viene.

Questa è solo una fra ottanta: il libro di Sarah vale la candela che costa.