Si apre oggi, dopo interminabili mesi di discussione mediatica, il sinodo straordinario dei vescovi voluto da papa Francesco sul tema della famiglia. 

L’attenzione dei mezzi di informazione su questo evento è stata, ed è tuttora, altissima: si è voluto trasformare un luogo di dialogo, di preghiera e di decisione ecclesiale in un simbolo stesso della Chiesa cattolica e del pontificato di Francesco. Il significato dell’incontro è stato così caricato di aspettative che, dagli esiti che emergeranno, dipenderà gran parte del giudizio dell’intellighenzia dell’Occidente sul cammino stesso della Chiesa. Riuscirà Francesco a far svoltare il cattolicesimo verso una prassi sacramentale più morbida e una morale sessuale più in sintonia con il tempo presente? Prevarranno i conservatori, che infidamente si schierano ancora all’ombra di Benedetto, o i progressisti, che dopo l’arrivo del Pontefice argentino hanno pensato e detto cose che almeno dal 1978 nessuno osava più dire apertamente? Il dibattito è aperto e i cattolici si schierano: libri, blog, interventi autorevoli, reciproche condanne. Tutto, insomma, sembra essere pronto per dar vita alla più grande battaglia teologica in seno alla Chiesa cattolica dal I millennio d.C. ad oggi e i giornali — come le tv e i social network — sono pronti a documentare lo scontro minuto per minuto. Idealizzando Francesco, il riformatore, e criminalizzando le forti opposizioni interne che, sempre secondo queste autorevoli fonti, questa volta si starebbero organizzando per resistere seriamente al pressing del rinnovamento. 



Fin qui, dobbiamo dirlo, c’è la percezione pubblica dell’evento, il racconto dei commentatori e degli esperti. Poi c’è Giulia. Sposata due volte, senza figli, sceglie di andare a convivere con un terzo uomo. Si allontana dalla Chiesa e, dopo anni di relazioni brevi e infruttuose, inizia a vivere con una persona stabilmente da più di otto anni e, negli ultimi mesi, arriva una bambina. Giulia non ha nessun problema, ma il suo parroco sì. Mi cerca, mi scrive e ci incontriamo. La chiacchierata sembra essere di circostanza, ma ad un certo punto il sacerdote mette sul tavolo la bomba: “Non sono riuscito a dirle che ero contento che la piccola fosse nata perché continuavo a pensare che lei [Giulia] fosse solo un’irregolare”.



Io non so che cosa voi pensiate del sinodo e non so neppure per chi facciate il tifo, ma so che la domanda a cui un prete, un uomo che ha incontrato Cristo, oggi deve stare di fronte è semplicemente questa: “Come si fa a vivere una circostanza così?”, “Come si fa a dire a Giulia che Cristo è morto per lei e che la salvezza della sua vita (e della sua piccola) può passare solo attraverso l’amicizia con qualcosa di più grande che si è fatto compagno quotidiano dell’esistenza?”. 

Il Papa non ha convocato un sinodo per fare “il tagliando” alla Chiesa, né per parlare di “comunione ai divorziati risposati”: il Papa ha convocato un sinodo perché si è accorto che la realtà, così come oggi è, ci pone una sfida, perché vuole sapere dai vescovi — e da tutti noi — come si sta in modo umano di fronte a Giulia, come si parla di Dio a Matilde. 



Matilde, infatti, è un’adolescente affidata ad una coppia di donne sposate all’estero. A casa loro si trova bene e sta crescendo da ormai tre anni confrontandosi con le loro vite, le loro idee, il loro amore. Il problema del parroco di Matilde è che Gesù è Risorto anche per lei e che lui vorrebbe dirglielo. Ma come fa a dirglielo nella situazione in cui vive? Va lì e le dice che le sue due “mamme” sono vittime di un’inclinazione disordinata condannata dal Catechismo a cui entrambe le signore hanno dato seguito fino a costituire una vera e propria struttura di peccato in seno alla società? Potrebbe provarci, ma a che scopo?

Papa Francesco ci sta sbattendo in faccia la realtà, che non è il movente per picchettare la dottrina della Chiesa, ma è il modo con cui Cristo, oggi, ci sta dicendo: “Che cosa state cercando?”. Io non mi posso mettere a sindacare sul fatto che quella situazione, secondo il codice di diritto canonico e il diritto naturale, non dovrebbe esistere perché quella situazione c’è e, a quel punto, ho due strade: o continuo a ripetere all’infinito le mie definizioni e cerco conferma ad esse nel Lateranense IV e nel Concilio di Trento, oppure guardo in faccia quel desiderio di amore, di paternità, di maternità e di riconoscimento che si cela dietro a queste situazioni, e provo a rispondere non alle circostanze complicate, ma alla natura dell’Io, al bisogno della persona, che le esprime e le pone realizzandole in un modo che, è vero (anch’io lo penso), è disordinato. 

Ma una volta che ho detto loro che è oggettivamente disordinato che cosa ho risolto? Ho mosso di un centimetro l’Io di Giulia e di Matilde? Le ho rese più liete e più libere, meno condizionate dalla cultura in cui vivono e che probabilmente le ha portate ad assecondare ogni desiderio come fosse un capriccio? No, non ho ottenuto niente di tutto questo. Perché il nichilismo c’è sempre, il peccato c’è sempre e, quello che conta di più, Giulia e Matilde ci sono sempre. È a loro che Papa Francesco vuole parlare, è a loro che vuole annunciare che è accaduto qualcosa che svela a ciascuno di noi la vera natura del nostro desiderio e del nostro Io. 

Magari ai giornali la partita politica piace un sacco, ai cattolici interessa schierarsi e difendere la sana dottrina o il bisogno delle misericordia. Ma al papa, e a molti vescovi, interessa un’altra cosa. Quella che interessa a me ogni mattina quando mi alzo, quella che rode Giulia e Matilde quotidianamente come un tarlo che non sanno spiegarsi: “Come posso io essere felice?”. 

Per cui, se volete, seguite i giornali, seguite i talk, seguite i siti conservatori o progressisti e commentate sui blog, ma poi — alla sera quando andate a letto — pensate a Giulia e a Matilde e vedete se la vostra giornata, i vostri discorsi e i vostri ragionamenti dicono qualcosa a quelle due. Non dovete farlo per me, né per Francesco. Ma per Uno che per loro ha deciso di morire e di dare la vita. Ben consapevole che entrambe non erano affatto in regola. Come Zaccheo, come la Maddalena, come la Samaritana. Eppure a loro lo sguardo di quell’Uomo ha cambiato la vita. Chissà se il nostro sguardo, così dotto e ben schierato, sarà in grado — per Grazia — di cambiare almeno il modo con cui proviamo a dire “buongiorno” alla prima persona che incontriamo al mattino. Sarebbe una novità. Sarebbe l’unico modo veramente interessante di partecipare al Sinodo: provare a entrare in contatto con la vita con la coscienza che in ogni particolare della realtà c’è Uno che ci aspetta e che mendica il nostro stesso cuore. Non chiedendoci regolette o “piccoli gesti di amore”, ma — semplicemente — sfidandoci, mettendo a nudo tutta la nostra incapacità di dire Io. E di dire Tu.

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