S’intitola Dittatura e Monarchia. L’Italia tra le due guerre ed è sicuramente da intendersi come un libro fondamentale per comprendere cosa sia stato il ventennio fascista e quanto abbia pesato sulla nostra storia. Un libro che viene ad aggiungersi alle tre opere storiche più importanti dedicate all'”infausto” (ma anche al “mitico”) ventennio, e che recano le firme di Renzo De Felice, di Sergio Romano e dell’accoppiata Montanelli-Cervi. Stiamo parlando della più recente opera storica di Domenico Fisichella, docente universitario di lungo corso, Medaglia d’Oro ai benemeriti della cultura, della scuola e dell’arte, già ministro per i Beni culturali e ambientali e vicepresidente del Senato per dieci anni. Il privilegio di aver pubblicato quest’opera se lo è assicurato Carocci editore, di cui Fisichella è sicuramente l’autore più prestigioso. Poiché sarebbe troppo difficile realizzare una sintesi panoramica dell’opera, preferiamo soffermarci su alcune delle tappe e degli episodi più significativi della lunga marcia mussoliniana sull’Italia (dopo la breve marcia su Roma) così come sono stati inquadrati e storicizzati da Fisichella.
L’Aventino e la dittatura. Il libro descrive in maniera approfondita i drammatici eventi che seguirono l’assassinio di Giacomo Matteotti ad opera di una squadraccia fascista nel ’24. I deputati della sinistra, in segno di disprezzo verso i fascisti, rifiutarono di partecipare alle sedute della Camera (come facevano, ai tempi di Roma antica, gli oppositori che si ritiravano sull’Aventino). Ecco il giudizio di Fisichella: “I promotori della scelta aventiniana oppongono a Mussolini un atteggiamento declamatorio ma sterile. Non prospettano alcuna soluzione alternativa realistica e praticabile, conseguentemente deludono quell’opinione pubblica che si attendeva mutamenti politici. In sostanza, consentono al presidente del Consiglio di riprendere fiato e di affrontare la difficile situazione che il delitto Matteotti ha determinato. A Mussolini resta da vedersela con il Senato che, dopo due giorni di dibattito, vota la fiducia al governo: 225 sì, 21 contrari, 6 astenuti. Tra i favorevoli, Benedetto Croce“. E’ la premessa al celebre discorso di Mussolini del 3 gennaio 1925 che dà inizio alla dittatura, il discorso passato alla storia per la frase “Potevo fare di quest’aula sorda e grigia un bivacco di manipoli“.
Cultura e fascismo. La presenza di un grande democratico e liberale come Benedetto Croce tra i votanti “sì” è una buona premessa al bel capitolo con cui Fisichella ha ricostruito i rapporti tra il regime e il mondo della cultura. Un capitolo documentatissimo e la cui importanza la si evince già dal titolo: «Cultura indenne dalla fascistizzazione». Vi si ricostruisce l’itinerario della rivista di Croce La Critica, che Fisichella definisce “politicamente antifascista”. Leggiamo poi le vicende della casa editrice Einaudi, “promossa da Giulio, figlio di Luigi, e nella quale confluiscono la tradizione culturale gobettiana e gli economisti di impianto liberista“. Ed è la volta dell’Accademia d’Italia, inaugurata il 28 ottobre 1929 (data fatidica), ma di cui fanno parte personalità insospettabili come Enrico Fermi, Guglielmo Marconi, Luigi Pirandello, Pietro Mascagni.
Ed eccoci alla grande impresa dell’Enciclopedia Italiana, “diretta dal 1925 al 1943 da Giovanni Gentile, al quale si debbono sia l’organizzazione scientifica sia il carattere di indipendenza e obiettività. Moltissimi i non fascisti e gli antifascisti che nel tempo vi hanno collaborato, ebrei inclusi. In breve, una cultura non fascista e antifascista ha potuto parlare, scrivere e insegnare nelle scuole e nelle università durante il fascismo“.
Guerra senza onore. E siamo ai capitoli più drammatici del bellissimo libro di Fisichella. I capitoli dedicati alla seconda guerra mondiale: dalla “drȏle de guerre” all’assalto alla Grecia, alla “battaglia d’Inghilterra”. L’autore ricostruisce, senza riserve, le terribili “pugnalate alla schiena” vibrate un po’ da tutti i contendenti. Ben pochi si salvano. Ricordiamo le più tremende: l’assalto alla Polonia da parte di Russia e Germania nel settembre 1939; la guerra dichiarata dall’Italia il 10 giugno 1940 alla Francia ormai in ginocchio, “pour nous poignarder dans le dos”, come dichiarò il presidente francese Pétain; l’assalto dell’Urss alla Finlandia del novembre 1939, seguito da quelli agli Stati Baltici Lettonia, Estonia e Lituania. Per giungere alla pugnalata forse più terribile e ingiusta, quella inferta da Churchill alla flotta francese, così raccontata da Fisichella: “Churchill, nel timore che Pétain, comandante di prim’ordine che, nella Grande Guerra, ha combattuto i tedeschi meritandosi il bastone di maresciallo di Francia, consegni le sue navi e i suoi marinai alla Germania, ne ordina il bombardamento e l’affondamento. Muoiono 1300 marinai francesi, si salvano solo un incrociatore e due cacciatorpediniere che riparano a Tolone. Tale azione, la cui utilità solleva più di un dubbio, compromette definitivamente le relazioni rea il Regno Unito e la Francia di Vichy“.
Attacco alla monarchia. I capitoli forse più profondi ed avvincenti del saggio sono quelli dedicati al conflitto terminale monarchia-fascismo, che Fisichella esamina con grande competenza di storico e attenzione ai particolari. Come – ad esempio – la decisione di re Vittorio Emanuele III di nominare suo figlio Umberto luogotenente generale “lo stesso giorno in cui le truppe alleate entreranno in Roma“: parole tratte dal decreto reale, che così conclude: “Tale mia decisione, che ho ferma fiducia faciliterà l’unità nazionale, è definitiva e irrevocabile“. Parole che hanno un preciso significato: Roma è stata liberata non soltanto dagli anglo-americani, ma anche dai sodati italiani.
I capitoli proseguono con un attento e approfondito studio sui governi succeduti alla guida del Paese dopo il primo governo Badoglio del luglio ’43. E affrontano poi, con una eccezionale documentazione, il punto più controverso dell’ultimo capitolo della monarchia in Italia: il referendum del 2 giugno 1946. Spiegando come e perché si giunse alla proclamazione di una Repubblica per la quale la maggioranza degli italiani non aveva votato, e precisando che il Re, “posto di fronte al fatto compiuto, lasciò l’Italia per l’esilio senza abdicare, ma denunciando, con un messaggio agli italiani, il ‘gesto rivoluzionario’ compiuto dal governo De Gasperi, che ‘in spregio alle leggi e al potere indipendente e sovrano della magistratura, ha assunto con atto unilaterale ed arbitrario poteri che non gli spettano e mi ha posto nell’alternativa di provocare spargimento di sangue o di subire la violenza’”.
Un ampio e approfondito studio, in questa parte del libro, è riservato al trattato di pace che dovemmo sottoscrivere a Londra, con le nostre rinunce alle terre italiane dell’Est. Scrive in proposito Fisichella: “Si trattò senza dubbio di rinunce e di situazioni dolorose, davvero però non paragonabili alla ‘debellatio’ patita dalla Germania e anche alle condizioni imposte al Giappone“. E ricorda le parole pronunciate da Pietro Nenni nel luglio 1947 all’Assemblea costituente: “Se la guerra si fosse conclusa nel settembre 1943 con la capitolazione senza condizioni, oggi il nostro Paese sarebbe diviso, come la Germania, in quattro zone di occupazione, con gli angloamericani che occuperebbero le isole e la penisola fino alla Val Padana, i sovietici sul Tagliamento, la Francia in Liguria e in Piemonte“. Parole troppo presto dimenticate. E che autorizzano la conclusione scritta da Fisichella e pienamente condivisibile: “La monarchia ha salvato lo Stato nazionale unitario nato dal Risorgimento, che ha lasciato in eredità alla repubblica. E’ stato l’ultimo, eminente servizio che la monarchia sabauda, artefice del Risorgimento, ha reso alla nazione“.