Il tempo non è stato clemente sabato, eppure l’aula dell’Università Statale di Milano, in cui si è tenuto l’incontro “Il nutrimento materiale e spirituale dell’uomo”, era piena. Al tavolo dei relatori, il cardinale Angelo Scola, il filosofo e professore Giulio Giorello e a moderare, il giornalista Roberto Righetto di Avvenire.
E quello di ieri, all’interno della kermesse milanese Bookcity, è stato un incontro per niente scontato se diamo un occhio ai curricula dei relatori. Da una parte il Cardinale teologo, dall’altra, il professore di filosofia dichiaratamente ateo che si definisce, come ha avuto poi modo di ribadire nel corso dell’incontro, «un vero illuminista». Quest’ultimo, però, non ha mancato di considerare la particolare occasione di dialogo con parole prese in prestito da Spinoza: «Le cose eccellenti sono tanto difficili quanto rare».
Tra le altre cose il dibattito ha avuto anche il pregio di ricentrare l’attenzione sull’Expo (che ricordiamo ha come titolo “Nutrire il pianeta, Energia per la vita”), saltato agli onori della cronaca più per gli scandali che per l’importanza delle tematiche che tratterà.
Bisogno, desiderio e nutrimento materiale, quindi. L’incontro, più che entrare nello specifico pratico del “mondo nutrizionale”, ha come voluto risalire la corrente, prendendo come punto di partenza una delle dinamiche più controverse del nostro millennio: l’emergenza alimentare. Procedimento dettato non da intellettualismo astratto, come ha ribadito il cardinale Scola, ma un richiamo, e al tempo stesso una sfida, per riprendere coscienza di chi siamo. Una pretesa per sua natura universale, che parte dalle domande costitutive dell’uomo e che vuole arrivare a cambiare anche le abitudini quotidiane, «come non lasciare andare l’acqua un quarto d’ora mentre ci si fa la barba».
Ma cosa intendiamo quindi quando parliamo di nutrimento spirituale e materiale? Risponde il professor Giorello che, confrontandosi con il testo del cardinale Cosa nutre la vita?, cita: «Siamo un intrico di desideri, di bisogni, sogniamo addirittura di sognare, ma sopra queste esigenze e bisogni si sovrappone l’intelligenza, che in qualche modo districa e regola i bisogni». Spostando l’attenzione all’uomo e alla sua complessità, la ricerca ci riporta inevitabilmente alla nostra origine. E qui ci viene in aiuto una bella poesia di Holderlin, Il Reno, citata dal cardinale: “Enigma è un puro scaturire/[…] Il più lo può la nascita e il raggio di luce che al neonato va incontro”. Ovvero, nel momento stesso in cui nasciamo siamo un novum, qualcosa di unico e irripetibile. E continua Scola: «Il contenuto dell’Expo ci richiama a questo fenomeno carico di bellezza e irriducibilità».
Osservando la riduzione, o la semplice dimenticanza, degli ultimi decenni di questo fatto all’origine dell’uomo, non sarà difficile intuire come da questa posizione sia potuta nascere, anche nel cibo, una cultura dello scarto e dell’esclusione. Perché, come ha ribadito Scola, «quando il bisogno è solo il tentativo di saziare se stesso, questo diventa una merce».
E questo trova risvolti concreti nella perdita del senso della convivialità, dell’ospitalità, di un certo amore per l’arte culinaria. Un’attenzione, che se pensiamo bene, non hanno perso quei paesi, come l’Africa o il Sudamerica, dove l’emergenza alimentare è più forte. Ma ha continuato il cardinale: «Il bisogno è espressione di fragilità e mancanza. Niente di quello che consumiamo è in grado di riempire la carenza strutturale che ci costituisce».
Il rapporto uomo-bisogno ha avuto, nel tempo, due effetti. Il primo è stato quello di segnare la storia del lavoro. Infatti, il genio umano si è proiettato nel futuro cercando di migliorare sempre più le risposte a un bisogno. Pensiamo all’architettura, all’arte culinaria, alla tecnologia. Il secondo invece rappresenta una svolta fondamentale: il passaggio da bisogno a desiderio. Ovvero la constatazione che niente è in grado di esaudirci in modo completo. E sottolinea Scola: «Se ampliamo il bisogno al suo significato più potente, qualunque tipo di bisogno diventa concretamente la strada attraverso la quale il desiderio ci porta verso il compimento della nostra esistenza». Esempi di questo li possiamo trovare nel Vangelo, dove Gesù parte sempre dal bisogno dell’uomo, come nell’episodio della Samaritana, per poi condurlo a riconoscere un desiderio ancora più ampio. Dal bisogno dell’acqua al desiderio di ricevere uno sguardo di perdono e comprensione su di sé.
Questa grave crisi, o come ha preferito definirla Scola, travaglio, dovrà portare a una consapevolezza nuova, così come il dolore del parto preannuncia la gioia della nascita. Questo “nuovo umanesimo” dovrà comprendere una rinnovata coscienza di sé e il cambiamento di centinaia di abitudini quotidiane, proprio per garantire un futuro alle prossime generazioni. E alla fine, cosa possiamo rispondere alla domanda “cosa nutre l’uomo”? Scola, concludendo, si spinge ancora più in là: «Il piacere ha una caratteristica particolare: dura poco. E alla fine solo il gaudium, la contemplazione di Dio, dura per sempre». Dando così un volto a quell’infinito che, parafrasando Pavese, l’uomo ricerca nei piaceri.