Quest’anno si celebrano i 150 anni dalla nascita dello scrittore e filosofo spagnolo Miguel de Unamuno. Fa parte della generazione del ’98, anche se si distinse presto da questo gruppo letterario perché recepì le influenze straniere e la secolarizzazione del razionalismo europeo e subì l’influenza di Hegel. In letteratura condivideva le idee del poeta Calderòn sul fatto che la vita sia un sogno. “Amare tutto, comprendere tutto”, era il suo motto da giovane. Divenne insegnante di greco all’Università di Salamanca, da qui la decisione di sposarsi e stabilirsi in questa città. Per lui fu un periodo molto felice e diceva: Negli occhi dei miei figli c’è lo splendore della gioia e della vita”. Un familiare ha raccontato un aneddoto: se un allievo era distratto, il docente si rivolgeva a lui e gli domandava: “è preparato per la morte?”. Uomo di grande fede, ma la discesa iniziò con il pensiero della morte. Dopo la sua morte, furono trovati nella sua biblioteca 8.000 volumi, quasi tutti con appunti. Unamuno illustra la speranza cristiana come un ponte che poggia su due pilastri: uno è la chiamata di Dio all’essere umano, l’altro la promessa di salvarlo. Un aspetto che trova posto in un romanzo “San Manuel Bueno Màrtir” (1931), dove il protagonista è un sacerdote, che si distingue dagli altri perché non ha speranza. Egli tace quando recita il Credo, nella parte in cui dice: “la resurrezione dei morti”. Manuel Bueno è il suo alter ego. Lui, come il personaggio, mette la sua speranza sempre alla prova. La religione l’ha ereditata dalla madre, e l’ha praticata in una parrocchia di un quartiere popolare a Bilbao. Ne parla “Aleteia.org”. (Serena Marotta)



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