Non so perché la rivista Usa Foreign Policy, una costola del Washington Post dedicata alle relazioni internazionali, abbia affiancato a Matteo Renzi, nella lista dei pensatori italiani più influenti, la scrittrice (probabilmente uno pseudonimo) Elena Ferrante.

Non lo so, ma sono contento. Chi ha scelto il suo nome ha avuto un colpo di genio. Di Elena Ferrante ho letto un solo libro tanti anni fa, L’amore molesto, un bel libro. 



Nessuno sa chi sia Elena Ferrante: non esistono fotografie né immagini tv né interviste. Chiunque sia, però, una cosa è certa: Elena Ferrante parla con la lingua della letteratura. 

Se Renzi è l’emblema della visibilità mediatica — tutti sanno chi è, tutti conoscono la sua faccia, la sua voce, le cose più o meno intelligenti che dice — Elena Ferrante ne è l’esatto contrario: è the dark side of the moon



Mi piace pensare che ci sia qualcuno che sa queste cose. Sinceramente, pensavo che non le sapesse più nessuno. Io invidio Elena Ferrante, chiunque sia. La invidio perché ha potuto scegliere, o costruirsi, un’invisibilità che vorrei anch’io, ma che a me non è concessa. 

Anch’io vorrei parlare solo con i libri che scrivo, vorrei che nessuno conoscesse la mia faccia, tranne i miei cari e i miei amici. Come diceva Carlo Emilio Gadda, rispondendo (credo) ad Arbasino: “Per favore, mi lasci nell’ombra”.

Il geniale articolista di Foreign Policy sa una cosa: che da quell’ombra si sprigiona un grande potere (o antipotere), una forza inimmaginabile. 



E’ quella forza che il grande romanziere Lev Nikolaevic Tolstoj, mette sul ring della Storia in Guerra e Pace, dove la forza militare e il potere e la genialità e la modernità di Napoleone Bonaparte vengono sconfitte da una miriade di microeventi, dalla sommatoria delle piccole azioni quotidiane, dall’eroismo quotidiano di migliaia e migliaia di piccoli uomini. 

Il Romanzo è, nella sua natura profonda, questa cosa: la messa in atto di una portentosa difesa della vita contro l’invadenza di tutti i poteri. Noi vogliamo vivere! E per poter vivere Renzi non ci basta, occorre questa resistenza profonda.

La letteratura, e soprattutto il Romanzo, è una voce che viene dal non-potere, dalla povertà della vita, e dall’apparente minuzia del quotidiano — che è, in realtà, il luogo dove noi mettiamo in gioco pressoché tutta la creatività che abbiamo. 

Ma la letteratura attinge a un tesoro profondo, che nessun potente conoscerà mai. Pochi sanno queste cose, ormai, perché quasi nessuno le insegna più, nonostante i tanti corsi di creative writing e i festival letterari dispersi per il pianeta. 

Lo si capisce dal disprezzo rabbioso in cui è tenuta oggi la letteratura importante, e dalla stima di cui godono tanti impostori. Lo si capisce anche dall’isteria di tanti giornalisti ansiosi di determinare in anticipo il cammino della storia. 

Viva perciò l’ignota Elena Ferrante e viva l’ignoto articolista del Foreign Policy, che conosce la forza ma anche la bellezza dell’ombra.