Forse l’ultima volta c’ero stato con la 1100 D nuova di zecca del papà: non la 1100 R, quella con la faccia piena di denti cattivi e con le code spigolose; no, quella con il muso pacifico e il didietro gentile e i sedili in finta pelle sopra i quali stavamo belli larghi noi tre piccoli dietro la mamma e il papà. Con la giardinetta di legno, la domenica andavamo fino alla Madonna del Bosco, qualche volta anche fino a Caravaggio, ma mai così lontano. Adesso si poteva, invece, perché avevamo la macchina più grande per le nostre passeggiate che avevano spesso come meta santuari o luoghi di culto; adesso potevamo spingerci anche sul lago o al mare.
Era da quei giorni lì che non ci tornavo ad Oropa. Adesso, in questo tempo al contrario con un’estate mai nata e un autunno che ci ride addosso sull’autostrada, ci torno con i miei di figli e con amici che ci hanno invitato lì a parlare con un prete, a chiedergli di spiegarci cos’è che lo tiene incollato a una statua nera e segreta.
Fuori Milano comincia una pianura sempre uguale, poi Biella viene alla fine di una fila sterminata di magazzini: qualcuno ha ancora la sua bella insegna e la sua merce, resiste ancora qualche lanificio, ma qualcun altro invece ci guarda triste e vuoto, come una fotografia di un mondo che fa tutta la sua fatica anche qui. Lasciato il centro la strada comincia a salire e il sole ci abbandona, oltre le curve c’è una nuvola di nebbia scura che abbraccia minacciosa le montagne che si possono a un certo punto solo immaginare. C’è più strada di quello che credevo e davanti le macchine adesso viaggiano lente, ma non sono intimorite dal cupo ghigno del cielo, qui sembra che si siano dati oggi appuntamento migliaia di persone: dagli alpini agli ambulanti, dalle bande musicali alle decine di parrocchie che scendono dai loro pullman. Le mura sabaude, arcigne ed austere, si vedono appena tra la nebbia, si fa fatica a trovare un buco dove mettere la macchina, ma alla fine si trova.
La Basilica nuova sul gradino più in alto è piena di gente, noi andiamo verso la Basilica antica, verso la statua nera intorno a cui è stato costruito questa specie di fortino militare a chiuderla dentro. E a difendere cosa, verrebbe da chiedersi. La nebbia e il freddo sono quelli dell’autunno vero che qui è arrivato prima, noi ci infiliamo nella sala dove ci aspetta il prete che ci racconta perché uno viene via da un posto straordinario dove stava bene e si infila qui.
Ed è felice di starci. Con le sue parole che ci siamo scritti sui fogli e che ci teniamo nelle tasche, mangiamo tutti insieme in una delle sale del pellegrino che sono già stracolme di gente, prima di andare alla messa. E prima della messa, sul piazzale della Basilica antica, passa la processione con il prete sotto il baldacchino, con l’ostensorio in mano e una piccola folla che lo segue nel giro piccolo del cortile: come succedeva all’oratorio quando ero piccolo, quando avevo ancora la 1100. E’ rimasto davvero tutto uguale?
Le nuvole sono ancora pesanti sopra di noi, le mura del santuario, così esagerate, mi viene da pensare, a me sembrano piuttosto quelle di una fortezza sperduta, di un avamposto buttato in mezzo alle montagne, in mezzo a un deserto che assomiglia nel cuore a quello di Buzzati e dove si dovrebbero attendere i nemici. E’ una sensazione di inquietudine che mi prende: questo prete sotto il quadrato di seta, le candele che lo precedono, questa gente che lo segue fino dentro la chiesa della madonna nera, sembrano quasi accompagnarsi ai magazzini della strada fatta fin qui nel disegnare la metafora di un tramonto: il mondo è da un’altra parte, sembra. Questa qui sembra la periferia del tempo e dello spazio, come il punto estremo di un corpo dove il sangue non arriva più, come una roccia che lentamente si sfalda nella ripetizione di riti che oltre i muri, se qualcuno li dovesse guardare, non si capiscono più.
Per un momento ho avuto l’impressione che le parole del papa avrebbero dovuto girare al contrario: dov’è, cos’è il centro? Dove sono e cosa sono le periferie? Il prete, nell’omelia, sembra avere sentito la mia domanda, il groppo di nebbia che mi abita il cuore: andate fuori di qui, ci ha detto, con la certezza che se un Dio muore per voi, voi valete bene qualcosa. A voi, e a nessun altro, è affidato di andare in giro per il mondo: queste mura, la seta, l’incenso, la statua e le candele non bastano. Il centro è un’altra cosa. La storia, forse, ricomincia da qui. Da una periferia di nuvole e uomini.