La Vita di don Giussani di Alberto Savorana (Rizzoli 2013) ha il grande pregio, tra le altre cose, di documentare episodi e incontri della vita di don Giussani, poco noti e, in molti casi, sconosciuti. Di questi incontri, taluni, tra i più significativi, avverranno dopo il ’68, dopo che, come abbiamo visto in un precedente articolo su queste pagine, il sacerdote di Desio aveva intuito che la grande contestazione stava travolgendo quanto rimaneva della “cristianità”. Ciò obbligava a ripensare una presenza cristiana non più determinata dal rapporto con la tradizione bensì modulata dalla priorità affidata all’incontro, ad una testimonianza cristiana umanamente autentica desiderosa di rapportarsi a tutti e a tutto, fuori da steccati o pregiudiziali di tipo ideologico o politico.
Questa prospettiva, assolutamente inedita nel panorama ecclesiale di allora, che troverà una formulazione, semper reformanda come mostra il volume di Savorana, nel movimento di Cl, sarà quella che porterà l’autore ad una serie cospicua di incontri con personaggi di non credenti, aventi una caratteristica in comune: quella di essere umanamente ed intellettualmente vivi, voci fuori dal coro. Tra essi Pier Paolo Pasolini e Giovanni Testori, ambedue omosessuali, espressioni di un mondo di sinistra certo molto lontano da quello democristiano e cattolico tradizionale.
Quello con Pasolini rimarrà, in realtà, un incontro ideale, con grande rimpianto di don Giussani. Savorana ricostruisce la cronaca di quell’appuntamento mancato. «La mattina del 3 novembre 1975, nel suo studio di via Martinengo Giussani apprende dal Corriere della Sera dell’uccisione di Pier Paolo Pasolini. Con lui c’è Laura Cioni, che scorge sulla scrivania una lettera indirizzata allo scrittore, che non sarà mai completata: “Esprimeva una totale consonanza con le posizioni da lui sostenute in tanti articoli sul Corriere della Sera“». Il ricordo è confermato da Lucio Brunelli il quale «incontrando Giussani nel 1998 nella sua abitazione di Gudo Gambaredo, gli parla di Pasolini e si sente dire che “gli stava scrivendo una lettera quando arrivò improvvisa la notizia della sua morte. Nella lettera intendeva chiedergli di incontrarlo”».
Giussani si era avvicinato a Pasolini a partire dagli articoli del poeta-scrittore-regista sul Corriere della Sera, pubblicati poi nella raccolta Scritti corsari. L’editoriale del 24 giugno 1974 Il potere senza volto lo aveva entusiasmato. Come ricorda ancora Brunelli: «Mi vede passare e ballando letteralmente sulla sedia mi chiama: “Vieni Lucio, leggi qua, è l’unico intellettuale cattolico, l’unico…”». Lo colpivano la critica pasoliniana all’omologazione, alla distruzione del popolo ad opera di un nuovo potere, conservatore e dissacrante ad un tempo, per il quale l’unico dio era la merce, il consumo come forma di vita. Ne parlerà, riecheggiando il corsaro, nel suo discorso alla Democrazia Cristiana lombarda, ad Assago, nel 1987. Riguardo al mancato incontro con lui rievocherà, con rammarico, un episodio: «Quanto mai quella sera non l’ho accostato — aspettavo l’ultimo aereo che partiva da Milano verso Roma —… Se Pasolini fosse stato a due nostri raduni, ci avrebbe investito di invettive, ma sarebbe diventato uno dei nostri capi!».
Pasolini diverrà per Giussani il paradigma di un dramma, quello di un uomo cresciuto nella tradizione cattolica, ricevuta dalla madre, abbandonata perché non confortata dall’esperienza di un nuovo incontro. «In un paese del Triveneto, cattolicissimo come ambiente, — dirà —, c’era uno che, disubbidendo a sua madre, era andato a trovare, in una certa taverna, in un paese vicino, un gruppo di tre o quattro giovani scalmanati che a lui piacevano. […] e questo nel tempo lo aveva dissuaso dall’andare in chiesa alla domenica, dall’ascoltare sempre sua madre. […] Quel ragazzo è diventato Pasolini. Egli, la tradizione cristiana genuina, avendola succhiata dal seno di sua madre, l’ha avuta, la doveva vivere, era costretto a viverla, anche se interpretava tutto in modo diverso: secondo la mentalità del gruppo. Dunque è diventato Pasolini, uno dei più grandi scrittori italiani, […] Pasolini ha incontrato un gruppo di persone che si ponevano contro la società di allora, contro la cultura di allora, come innovatori. […] ha cercato una strada sbagliata: ha detto che la verità non c’è — meglio che la verità non si sa cosa sia — […]. Ma lentamente, nella sua vita, si è sentito riecheggiare quello che diceva sua madre sulla vita, sulla verità e sulla strada da battere. Se avesse incontrato uno con la nostra passione, se fosse venuto ad un gesto della nostra comunità, soprattutto a certi momenti, Pasolini avrebbe pianto».
Non era un modo di dire. Quando Giussani parlerà così di Pasolini, nel 2000, aveva certamente presente le lacrime e l’incontro con un altro autore, grande protagonista dell’Italia culturale del dopoguerra, Giovanni Testori, che diverrà poi una delle firme prestigiose de il Sabato degli anni 80- 90. Scoperto, anche lui, per i suoi articoli sul Corriere della Sera, e conosciuto da alcuni universitari di Cl, Giussani lo incontra nel 1978 in un ristorante di piazzale Aquileia, a Milano. «Appena lo vide, si alzò per andargli incontro. Giovanni era totalmente commosso, sino alle lacrime. Don Giussani, anche lui commosso, lo abbracciò. Testori, piangendo, continuava a dire che lui — che aveva rinnegato e bestemmiato Dio — non era degno di stare di fronte a don Giussani. E poi spiegò come avesse passato la vita a cercare di togliere dalla sua fronte quella croce che nel battesimo gli era stata impressa. E più si sforzava di eliminarla più prepotentemente veniva fuori sino a quando, con la morte di sua madre, era stato rigenerato alla vita. Disse che era come se sua madre, morendo, l’avesse partorito di nuovo». Giussani «profondamente colpito dall’umanità di Giovanni, continuava a ringraziarlo per averlo incontrato, ricordandogli che quello che lui chiamava bestemmie erano come una preghiera disperata che adesso trovava la sua risposta».
In modo misterioso, la figura della madre, come ponte verso Dio, veniva a collegare Testori a Pasolini. La madre come ultimo lembo di una tradizione cristiana spazzata via dalla storia che poteva essere ritrovata e rinnovata solo a partire da un nuovo inizio, da un “incontro” con dei testimoni, liberi, intelligenti, appassionati, del cristianesimo nel presente. Le due voci più espressive, in Italia, di intellettuali non schiavi del potere, si incrociavano, così, idealmente e realmente, con la strada del sacerdote di Desio, il don Giovanni Bosco del nostro tempo.