Il 3 novembre è morto Gordon Tullock, rinomato giur-economista che svolse la sua attività principale alla George Mason University. Più volte indicato quale candidato al Nobel per l’economia, che però mai gli fu riconosciuto, avrebbe compiuto 93 anni il prossimo febbraio. Provocatore e disincantato nei confronti della politica e dei politici, si dice che appena arrivato a George Mason University avesse incontrato nel suo studio all’università il governatore della Virginia, Jim Gilmore, e gli avesse domandato: “Sei tu il governatore? Bene, allora puoi far aggiustare queste infiltrazioni sulla mia parete”. Il suo essere “impolitico” con i politici e con la politica è forse tra le ragioni per cui non ottenne il Nobel. 



Analogo atteggiamento provocatorio tenne anche con gli economisti: sulla sua pagina personale della George Mason University si ricorda che Tullock non conseguì un dottorato in economia, ma che egli si divertisse a narrare che grazie alle sue letture nel tempo libero dei lavori di Ludwig von Mises (tra i più influenti economisti della Scuola austriaca) si fosse formato meglio dei suoi contemporanei con un dottorato in economia. 



Insieme a James Buchanan (che invece fu premio Nobel per l’economia nel 1986) ha scritto il libro Il Calcolo del consenso. Fondamenti logici della democrazia costituzionale (Il Mulino), considerato unanimemente il caposaldo della Public Choice Theory (o Teoria della scelta pubblica). L’approccio Buchanan/Tullock è anche conosciuto con la dicitura di “Virginia School of political economy”, che si contraddistingue per enfatizzare i limiti del processo politico piuttosto che declamare la politica come mezzo capace di correggere e tantomeno risolvere i cosiddetti fallimenti di mercato. E difatti Gordon Tullock concentrò una parte delle sue innumerevoli ricerche sull’analisi del fenomeno di rent-seeking, ovvero la circostanza in cui un soggetto con un potere economico (tipicamente un’impresa monopolista) impiega enormi risorse in attività di lobby allo scopo di ottenere “politiche” che privilegino e accrescano il proprio potere economico. Questo risultato ha due risvolti principali: primo, il politico, in particolare e il legislatore, più in generale, non persegue il benessere sociale, ma meramente un ritorno privato, come ogni homo oeconomicus; secondo, il potere economico dissipa molte delle proprie risorse non per fornire prodotti migliori a un costo inferiore, ma per ottenere privilegi dalla politica e conseguentemente distorcere le condizioni del mercato. 



Come la persona, il pensiero di Gordon Tullock quindi fu disincantato e non-romanzato: ogni agente, compreso il politico (anzi, a maggior ragione il politico!), segue e persegue l’interesse personale. 

Da tale disincanto emerge una società nella quale individui e politici sono animati da interessi identici e i fallimenti del mercato non sono peggiori dei fallimenti dello stato; ma proprio per queste ragioni appare una società molto complessa, una società senza miraggi ne’ sogni, ma cruda e reale. Una società per la cui comprensione, semmai un giorno si avrà una conoscenza più completa, a Gordon Tullock spetta indubbiamente un ruolo prominente.    

Per un’estesa raccolta dell’ampio contributo all’economia e alla scienza politica di Gordon Tullock si può far riferimento ai 10 volumi The Selected Works of Gordon Tullock.