“Non appartengo a una corrente, se non in maniera molto vaga”. Lo diceva Pier Paolo Pasolini in un testo inedito pubblicato da Avvenire. “Io non sono un professionista del cinema e quindi non ho fatto il noviziato, non ho fatto l’apprendistato, non ho avuto dei maestri, non mi sono inserito in una corrente, appunto. Sono venuto completamente da un altro campo e quindi ho agito in maniera abbastanza irregolare”. Pasolini si ispirò a Charlot, Buster Keaton, Dreyer e al regista giapponese Mizogouchi. Da qui nasce il suo stile. “Fatalmente io non potevo non venir fuori che dal neorealismo. Ho cominciato ad operare in pieno clima neorealistico, benché al suo declino, e quindi fatalmente non potevo che appartenerci. Però poi, dal momento in cui ho cominciato a fare del cinema io stesso, ho cominciato a fare del cinema che contraddice in pieno il neorealismo, stilisticamente”. Nei film di Pasolini mancano i piani – sequenza, elementi tipici del neorealismo. La stessa cosa succede dal “punto di vista dei contenuti e delle problematiche” affrontate. “Al cinema la realtà si esprime attraverso la realtà (…) Per voi la realtà sono tutti segni che io posso analizzare semiologicamente, segni che mi raccontano, mi dicono qualcosa. Per voi cattolici, ecco Iddio, cioè il Trascendente, che parla attraverso la realtà, cioè la realtà non è altro che il sistema dei segni di Dio. Ora per me, che non sono credente, devo ricorrere a una specie, diciamo così, di ontologia: la realtà è il complesso di segni attraverso cui la realtà si esprime. Cioè la mia visione del mondo, anche se sacrale e religiosa è di tipo immanentistico. Allora se voi volete far coincidere la vostra trascendenza con questa mia idea sacrale immanentistica, questa componente è la componente tipica di tutti i miei film, da Accattone a Porcile (…).” (Serena Marotta)