Chissà perché a Natale naturalmente si espande un mito antico che porta l’uomo moderno a sognare un’aspirazione autentica, sperduta nel buio dei millenni. Si spalma sempre a Natale il profumo di un’aria di suggestiva attesa. Dimessa, ma presente spira quella temperie sensibile che si rivolge al divino.



Gli uomini si preparano ad accogliere l’evento, l’unico che dia senso al nostro vagare indistinto nella esperienza acerba dell’esistere sempre più imbrogliato. Di qua e di là, ovunque, si cerca sempre chissà che cosa e si incontrano spesso gli aspetti negativi del nostro vivere sociale, ma anche la speranza nell’attesa. L’ottimismo deve necessariamente vincere il pessimismo in una visione cristiana della vita.



Papa Francesco ha parlato con un discorso magistrale all’Assemblea del Parlamento di Strasburgo a fine novembre. Ha indicato il fondamento d’una antropologia sociale, ma anche la speranza nell’attesa per costruire un futuro migliore a vantaggio delle classi meno fortunate. Ha evidenziato il fondamento d’una filosofia politica comunitaria che riconosca l’individuo nella sua dignità inalienabile di persona, fonte dei diritti e dei doveri. Una specie di criterio regolativo per vivere in maniera umana nella società moderna, sospinta ormai a consumare la sua esistenza in un clima culturale confuso. Senza più un’unità ideale, incapace di organizzare le intuizioni del vivere individuale e associato con un punto di riferimento, buttando l’uomo in ogni dove, come un frammento disperso dal vento della bora. Per un’Europa confusa e stagnante, consapevole che il primato le sfugge di mano, senza sentirsi più guida del mondo con le sue iniziative e le sue scoperte, ma sopratutto con la sua cultura ormai decadente e crepuscolare, il papa ha infuso un respiro di speranza al vecchio continente, scorato e stanco, oltre che tramortito. Ha voluto dare una sferzata all’Europa in preda a problemi di crisi famigliare e ideale, che legifera con la suggestione del postmoderno verso un disorientamento globale senza speranza di futuro.



Francesco ha sottolineato il valore dell’uomo trascendente, con l’intelligenza dell’eterno e la ricerca di rapporti razionali col sacro. Ma nel Natale è Dio che va incontro agli uomini: rinnova l’appello a un’amicizia di cordialità benevola con coloro che l’hanno abbandonato, condivide in pieno la condizione umana. E’ il mistero dell’Incarnazione, Dio in mezzo agli uomini, la comunione totale del divino con l’umano, pur nella distinzione delle nature, divina e umana, nell’unica persona divina: “l’Io di Cristo”.

Persino Sartre buttato in un campo di concentramento nel 1944, s’inteneriva quando scriveva versi commossi per Gesù Bambino. Era l’intelligenza laica che a Natale sussulta per l’irrompere di Dio nella storia dell’uomo. Sia mito o sia realtà rivelata, Natale diventa una festività a raggio mondiale, anche nazioni di religione diversa da quella cattolica sentono il fascino di un Bambino che nasce lasciando il seme della speranza, inconsapevolmente cristiana. E’ sempre vero e constatabile quanto Tagore, ispirato poeta premiato con il Nobel, cantava: “Fin quando un bambino nascerà vuol dire che Dio non si è ancora stancato degli uomini”.

Natale per chi lo medita con occhio spirituale è anche e soprattutto il mistero della fragilità della condizione umana del tutto abbracciata da Dio, e ancora è la condivisione della povertà del Figlio di Dio, “a noi in tutto simile tranne che nel peccato”, come assicura san Paolo. Nasce in una grotta e non nelle stanze tiepide delle dive borghesi moderne, con lo scintillio di fotografi e di rose degli amici. Solo gli ultimi della società arrivano per la prima accoglienza di Gesù Bambino: i pastori con i loro animali per riscaldare un Dio dalle insolenze del freddo. Questa scena strappò a sant’Alfonso la lirica tenera e dolce: “Tu scendi delle stelle”, pastorale che resiste a fatica nelle chiese delle nostre parrocchie di città e di paesi, là dove i parroci amano ancora il canto tradizionale, autentica espressione del sentire sacro popolare, che questa festività libera ancora nella gente semplice e buona.

Da scolari delle elementari s’imparava a memoria Il Natale, o meglio La Notte Santa di Guido Gozzano: “Il campanile scocca la mezzanotte santa”, l’ora che non è altro che un tormentoso susseguirsi di “respinto” di Giuseppe e di Maria Vergine alla ricerca d’un rifugio d’accoglienza, da tutti rifiutato.

Oggi il Natale bussa alla porta della nostra coscienza per superare “l’uomo economico”, “l’uomo tecnico”, “l’uomo consumista”, “l’uomo corrotto” faccendiere dell’etica pubblica, bisognoso solo di conversione, l’unica via di riscatto che gli resta. Etichette che simboleggiano altrettante immagini dell’alterazione distorta del valore fondante della persona umana, ignorata e bistrattata, in particolare nella sua dimensione di trascendenza. Quella persona umana aperta a Dio che va incontro all’uomo, con la tenerezza del Padre, con l’affetto premuroso del fratello, amico del cuore, chiamando tutti ad una vocazione di salvezza. Ogni uomo cerca la pace, a cominciare da quella interiore. Dio ce la dona a Natale. Basta dialogare con Lui nell’implorazione orante. Anche gli angeli della culla di Betlemme ci ascoltano.