Pubblichiamo l’omelia tenuta Mons. Massimo Camisasca, vescovo di Reggio Emilia-Guastalla, in occasione della solenne Veglia di Natale, 24 dicembre 2014.

Cari fratelli e sorelle,
perché in questa notte abbiamo lasciato le nostre case e siamo convenuti qui, nella nostra Cattedrale, madre di tutte le nostre chiese? Un annuncio ci ha raggiunto, antico eppure sempre nuovo. Un annuncio che ci invita ad uscire dalle nostre paure, dalle nostre rassegnazioni.



Un bambino è nato per noi, ci è stato dato un figlio (Is 9,5). Queste parole del profeta Isaia, che abbiamo appena ascoltato, sono l’anticipazione profetica di altre parole risuonate finalmente nelle notte della storia, parole di luce e di speranza: Non temete: ecco, vi annuncio una grande gioia, che sarà di tutto il popolo: oggi, nella città di Davide, è nato per voi un Salvatore, che è Cristo Signore (Lc 2,11).



Cari fratelli e sorelle, Dio non ci ha abbandonato, non ci ha lasciato in balia delle nostre fragilità. Egli ha “lasciato” il suo cielo per venire ad abitare in mezzo a noi, per farsi uno di noi, per aprirci la strada verso la luce e la pace. Egli viene per strapparci dalla solitudine nella quale continuamente siamo tentati di rinchiuderci e che è la radice vera di ogni nostra paura. Se guardiamo alla nostra esperienza, infatti, ci accorgiamo che, più ancora del dolore, della sofferenza, delle difficoltà che possiamo incontrare nel nostro cammino, ciò che ci fa veramente paura è il restare da soli. La solitudine è la visibilità del peccato che ha avvelenato la vita dell’uomo dopo la caduta originale. Eppure non è mai scomparso dal cuore degli uomini il desiderio della comunione che Dio ha impresso in modo indelebile nelle nostre persone, fatte a sua immagine.



Tutta la storia dell’umanità — e in particolare la storia dell’arte, della musica e della letteratura — è percorsa da questo desiderio, dalla ricerca — più o meno cosciente — di una risposta alla sete di comunione e di pace, dal tema del ritorno ad una casa per la quale ci sentiamo fatti.

La parole che l’evangelista utilizza per descrivere la pace annunciata dagli angeli ai pastori (eirene) è la stessa che la Chiesa dei primi secoli ha usato, assieme a koinonia, per esprimere la comunione (cfr. L. Hertling, Communio. Chiesa e Papato nell’antichità cristiana, Roma 1972, 7-11).

È questa la ragione di profonda gioia che ha invaso l’animo dei pastori. Ed è la stessa ragione per la quale anche noi siamo qui questa notte: la notizia che ancora una volta è risuonata nella nostra Cattedrale è la risposta di Dio alla nostra sete di verità, di pace, di comunione. 

All’uomo, ferito dal peccato, sarebbe stato impossibile uscire dalla solitudine e costruire la casa della comunione. Dio stesso allora ci è venuto incontro e si è fatto casa per noi, ha posto la sua tenda in mezzo a noi (Gv 1,14). È per questo che il Natale ci riempie il cuore di gioia e di speranza, la stessa gioia e la stessa speranza che hanno provato i pastori nell’udire il canto degli angeli: Gloria a Dio e pace agli uomini. Gloria a Dio, perché la sua luce ha ricominciato a brillare sulla terra, e pace agli uomini perché in quella luce possono ora ritrovare il loro vero volto.

Tutto ciò è mirabilmente sintetizzato nella IV preghiera eucaristica: «A tua immagine hai formato l’uomo, alle sue mani operose hai affidato l’universo perché nell’obbedienza a te, suo creatore, esercitasse il dominio su tutto il creato. E quando, per la sua disobbedienza, l’uomo perse la tua amicizia, tu non l’hai abbandonato in potere della morte, ma nella tua misericordia a tutti sei venuto incontro, perché coloro che ti cercano ti possano trovare».

Il Natale è Dio che in modo discreto, ma reale, viene incontro a tutti. Viene senza abbagliare, per lasciare a ciascuno la libertà di riconoscerlo e adorarlo. È l’inizio del ritorno a casa, un inizio che reclama la risposta dell’uomo e che avrà il suo compimento in un’altra notte, quella di Pasqua, quando ciò che questa sera comincia in modo silenzioso e nascosto, si manifesterà nello splendore della resurrezione.

Chiediamo allora al Signore la semplicità dei pastori che hanno saputo riconoscere nel segno povero di un bambino, in tutto simile ad ogni altro bambino della terra, il Re della gloria. Chiediamo anche per noi la grazia di poter riconoscere la sua divina presenza dentro tutte le pieghe, spesso banali e ordinarie, della nostra esistenza.

Possa Egli avere ancora pietà di noi e in questo santo Natale rinnovare dal di dentro le nostre vite, le nostre famiglie, la nostra Chiesa.

Buon Natale a tutti!