“Una donna siede ai piedi di Giacobbe, l’uomo ricco di storia, nel bosco di Mamre, non lontano da Hebron, la capitale di Canaan. Donde vien questa donna giovane e seria? Chi è? Il suo nome è Thamar. Guardiamo intorno a noi le facce dei nostri uditori, e solo poche, solo qualcuna s’illumina. Voi dunque realmente non lo sapete più, non l’avete mai saputo chi era Thamar? Era una sua ammiratrice, una sua alunna nella scienza del mondo e di Dio, che pendeva dalle sue labbra con tanta devozione che l’orfano cuore del vecchio, di lei perfino un poco si innamorò“.
Anche Thomas Mann, l’autore di questo brano, un poco s’innamorò di Thamar e non esita a elevarla al rango di Astarte, l’Afrodite ante litteram, adorata in tutta l’area semitica, la potente divinità seduttrice di Adone, nome dal quale viene Adonai, la parola antica che significa Signore. Anche lui, dicevo, ne è sedotto, come se i sipari dei secoli e di millenni che da lei lo separano non fossero che i veli con cui Thamar ebbe ragione di Giuda, scrivendo per sempre il suo nome di donna straniera nella Storia della Salvezza.
Mann scrive di Thamar al termine di una lunga meditazione su come inserire la sua storia nell’immenso racconto di Giuseppe i suoi Fratelli. Lo scrittore di Lubecca, insignito del premio Nobel per la letteratura nel 1929, lo aveva mandato alle stampe in esilio, tra il 1933 e il 1943. Prima da Zurigo poi da oltreoceano, non smetterà di punteggiare il tragico scorcio di storia tedesca con la pubblicazione dei volumi della scandalosa tetralogia, in cui esaltando l’epos ebraico conquista il lettore al fascino e all’ammirazione per i fondatori del giudaismo. Quando Mann, nel 1943, decide di piegare l’economia del grandioso romanzo al fascino per Thamar, dedicandole il quinto capitolo di Giuseppe il nutritore, il presidente americano Roosevelt, amico personale dello scrittore — gli studiosi dell’opera manniana sostengono che il suo Giuseppe gli rassomigli non poco — siede alla conferenza di Teheran dove si riorganizza l’Europa.
Allora chi è Thamar? L’onore tributatole da Thomas Mann non è valso alla sua notorietà. Su di lei la cronaca non solo è scarna, ma si è “espressa sempre con brusca concisione”, ragion per cui lo scrittore tedesco, amico e corrispondente dell’ebreo Sigmund Freud, non si è lasciato sfuggire l’occasione di integrare il capitolo 38 del Libro della Genesi: la storia di Giuda e Thamar. Thamar è la “nuora nipote” di Giacobbe, per due volte sposa e per due volte vedova dei figli di Giuda, prima Er, poi Onan, il cognato, che in quella lingua si dice levir.
Sela, il terzo figlio, le fu rifiutato con disprezzo di lei e del levirato: l’antica legge che obbligava il cognato a prendersi cura “della vedova e degli orfani”. “Divoratrice di giovinetti”, questa l’ingiusta fama della donna, ormai ramo secco del grandioso albero della discendenza di Giacobbe. Questa la cattiva sorte dalla quale Thamar fu in grado di risollevarsi con “straordinaria risolutezza”. “Spiar nelle alcove è al di sotto della dignità di chi narra questa storia”: qui (e solo qui) Mann delude i suoi lettori, perché di alcove e non di altro si tratta. Thamar “la risoluta” smise il velo del lutto e indossò quello della seduttrice mercenaria. Giuda la volle per sé, la conobbe senza riconoscerla, ricalcando la “svista” di Giacobbe, che conobbe Lia, scambiandola (sic!) per l’amata sorella di lei, Rachele, e contraendo in tal modo l’obbligo di sposarla.
Thamar, l’alunna prediletta di Giacobbe, la confidente delle sue storie lo sapeva, contrattò il meretrico è fissò un prezzo pari alla dignità di chi la chiedeva. In pegno trattenne il bastone, l’anello e il cordone di Giuda, lo stesso che in veste di giudice e capo inquisì contro di lei: scopertala incinta l’accusò di meretricio, condannandola alla lapidazione e al rogo. Ancora a Giuda, venutala a prelevare per il luttuoso ufficio, la donna consegna i pegni dell’unione mercenaria, i simboli del suo rango, accompagnandoli con l’umile domanda: li riconosci? “Lei è più giusta di me”, fu la frase dell’uomo annotata nelle cronache. Esaminata, la donna è trovata innocente e il suo agire impeccabile.
Il suo coraggio e la sua determinazione catturano l’ammirazione degli astanti, i lettori del libro degli inizi, fino a Thomas Mann ai suoi lettori e a noi. Anche la sentenza di Giuda cattura l’attenzione, così alternativa e ancestralmente rivoluzionaria rispetto all’altra, quella di Adamo che, incolpandola, ruppe il coniugio con la donna, dando luogo al primo caso di divorzio della storia.
Il libro degli inizi non dice se Giuda fu all’altezza del suo giudizio nel seguito della storia con Thamar. Non risulta. Ma saperlo ha un’importanza relativa: lo sarà forse per letterati, archeologhi della cultura, “strizzacervelli” e simili, perché in questo genere di cose si riparte sempre da Adamo e Eva. O da Thamar e Giuda. A questo punto: faites vos jeux.
(1 – continua)