Potremmo semplicemente cominciare citando il libro di Lyenne Truss intitolato Eats Shoots and Leaves. Il titolo rimanda alla storiella di un panda che entra in un caffè con un libro sottobraccio, dopo aver mangiato un sandwich tira fuori una pistola e comincia a sparare facendo una carneficina. “Ma perché hai fatto questo?”, chiedono i camerieri sopravvissuti. Il panda, andandosene, lascia loro il libro che aveva con sé e che, si rendono conto ora, riguarda gli animali selvaggi. “Leggete qui”, dice, e aggiunge: “Sono o non sono un panda?”, sbatte la porta e se ne va. Quelli guardano e leggono alla voce “panda” dove sta scritto: Large black-and-white bear-like mammal, native to China. Eats, shoots and leaves“. Appunto: mangia (eats), spara (shoots) e va via (leaves). “Accidenti alla punteggiatura”, devono aver detto i camerieri. Una virgola che causa stragi perché “eats shoots and leaves” (senza virgola) significa invece “mangia germogli e foglie”, che è quello che normalmente dovrebbe fare un panda.



La storiella è anche utile per chiarire una questione preliminare. La virgola è un segno di punteggiatura, ma per cosa stanno questi segni? La risposta consueta è che stanno per rappresentare le pause del parlato. Falso. Lo dice con la sua consueta chiarezza Luca Serianni: “I segni che indicano una pausa (pausa debole nel caso della virgola: [,]) non riflettono di norma corrispondenti pause del parlato, ma contrassegnano i vari rapporti sintattici che si stabiliscono tra le diverse parti di una frase o di un periodo” (Luca Serianni, Italiani scritti, Bologna, il Mulino 2003). Ovvero, la punteggiatura non serve ad imitare la linea melodica del parlato. Lo conferma Nanni Balestrini quando ricorda (Repubblica del 5 gennaio) che lui ha rinunciato da anni alla punteggiatura nella sua opera letteraria perché: “…io immagino sempre i miei testi narrati da una voce, che parla. E la mia preoccupazione è che il testo dia al lettore l’idea dell’oralità, non della scrittura” (ivi). Che la punteggiatura riguardi i rapporti sintattici è chiaro anche dalla frase inglese citata sopra: la presenza o assenza di virgola fa cambiare la sintassi di quella frase così come il punto per cui Martino perse la cappa (o l’asino in francese, ma questa è un’altra storia). 



Il fatto che la virgola, come gli altri segni di punteggiatura, definisca un certo tipo di rapporto sintattico fra le parti di una frase, dà un senso anche al modo di usarla. La virgola cioè non è qualcosa che si mette “a orecchio”, assecondando delle sensibilità personali. 

La virgola infatti è necessaria nelle enumerazioni, negli incisi e prima o dopo proposizioni subordinate con caratteristiche di inciso. Non va mai fra una reggente e una frase subordinata con funzione di soggetto o oggetto e prima di una relativa che precisi il significato. Come si vede si tratta sempre di una funzione strutturale determinata che non corrisponde ad un’eventuale pausa nel parlato.



Se ne può fare a meno dunque? Se la punteggiatura, e la virgola di conseguenza, sono un fatto di struttura linguistica, non ne dovremmo fare a meno perché una omissione può mettere in gioco la coesione e la coerenza di un testo. Una virgola mal usata può scombinare le strutture testuali cambiandone profondamente il valore. Quando un testo ha una funzione in cui è privilegiata la strutturazione testuale, la virgola diventa una sorta di colonna d’Ercole che non può essere omessa.

Riascoltiamo Balestrini: “certo, è diverso quando scrivo saggi o articoli. Non me la sono mica dimenticata la punteggiatura”.

Naturalmente parlare di scrittura oggi significa molte cose. È scrittura ad esempio un sms o un messaggio di WhatsApp? Che tipo di scrittura sono tutti gli scambi attraverso i vari “social”? Certo, materialmente sono qualcosa di scritto in cui però sono ormai entrate molte modalità del parlato. Una forma ibrida di comunicazione che privilegia la rapidità e l’emotività del messaggio rispetto alla forte strutturazione. Una coesione che si basa non tanto sulla subordinazione quanto sulla ricorrenza e sulla giunzione. Si realizza così il sogno di molte avanguardie del secolo scorso, dai futuristi alla neoavanguardia. Filippo Tommaso Marinetti lo aveva profetizzato (ma mettendo tutte le virgole giuste) al punto sei del suo Manifesto tecnico della letteratura futurista (11 maggio 1912): “6. Abolire anche la punteggiatura. Essendo soppressi gli aggettivi, gli avverbi e le congiunzioni, la punteggiatura è naturalmente annullata, nella continuità varia di uno stile vivo che si crea da sé, senza le soste assurde delle virgole e dei punti. Per accentuare certi movimenti e indicare le loro direzioni, s’impiegheranno segni della matematica: + – x : = > <, e i segni musicali”.