Il libro è oggi non più segno di cultura, ma oggetto di consumo; quasi, si potrebbe dire, di consumo di massa. Si è verificato quanto Leopardi profetizzava nello Zibaldone due secoli fa, quando affermava che nel futuro ci sarebbe stata una letteratura colta per pochi e un’altra produzione di consumo per tutti, che non si può considerare arte. Il Recanatese scriveva questo nei primi decenni dell’Ottocento.
Nel 1857 Uncle Tom’s Cabin di Harriet Beecher vendeva 300mila copie in un solo anno e avrebbe raggiunto alcune milioni di copie nei decenni successivi risultando forse il libro più venduto nell’Ottocento. A fine secolo fu coniata la parola best seller quando la rivista Bookman cominciò a pubblicare gli elenchi dei libri più venduti. In I bestseller italiani 1861-1946 Michele Giocondi riesuma personaggi come Paolo Mantegazza, Gerolamo Rovetta, Salvatore Farina, Luciano Zuccoli, Umberto Notari, Mario Mariani, Virgilio Brocchi e Guido Milanesi meno famosi di Carlo Collodi, Emilio Salgari, Gabriele D’Annunzio, Edmondo De Amicis, Antonio Fogazzaro, eppure capaci di vendere centinaia di migliaia di copie a libro.
Da centocinquanta anni l’industria editoriale ha messo in campo le migliori armi tecnologiche e commerciali del momento per vendere sempre più. Solo qualche esempio: il feuilleton permetteva di raggiungere tutto il pubblico dei lettori di giornali (dall’Ottocento), l’uso della fotografia nella copertina e nell’interno del libro (dagli anni Trenta e Quaranta del Novecento) cercò di sedurre il pubblico suscettibile al fascino dell’immagine, l’uso di una grafica sempre più diversificata e raffinata (dal secondo dopoguerra) mirava ad un pubblico sempre più ampio e specializzato, la nascita dell’ebook (in questi anni) cerca di diffondere la lettura in fasce di età e in un pubblico più affezionato allo strumento tecnologico più che al libro cartaceo. Nel contempo la nascita dei premi letterari (dagli anni Quaranta in poi) e la diffusione dei Tascabili (inaugurati dalla Rizzoli nel 1949) ampliavano anche in Italia il pubblico dei lettori. L’epoca del boom economico divenne anche per l’Italia l’epoca dei best seller di cui sono emblematici il Dottor Zivago di Boris Pasternak (1957), Il gattopardo di Giuseppe Tomasi di Lampedusa (1958), La ragazza di Bube di Carlo Cassola (1960) e Il giardino dei Finzi Contini di Giorgio Bassani (1962).
I cambiamenti nell’editoria tra gli anni Settanta e Ottanta furono notevoli, segnati senz’altro dalla presenza sempre più massiccia dei mezzi di comunicazione di massa e dalla creazione di grandi gruppi editoriali (che lavoravano al contempo nel campo dei libri, dei periodici e delle televisioni). Per questo se Il nome della rosa di Umberto Eco (1981) risulta un caso isolato negli anni Ottanta, negli anni Novanta il fenomeno del best seller esplode per l’incidenza sempre maggiore del marketing e dei massmedia (anche se non va trascurato il sempre efficace passaparola).
Il successo di Va’ dove ti porta il cuore di Susanna Tamaro nel 1994 accompagnato da Jack frusciante è uscito dal gruppo di Enrico Brizzi (dello stesso anno) è in realtà preparato nei decenni precedenti dai profondi cambiamenti che si stavano verificando nell’editoria, non è certo novità che scaturisce in quell’anno ex abrupto. A nostro modo di vedere, non c’è, quindi, alcun spartiacque nel 1994 nel campo della narrativa, come ha, invece, sottolineato con molta enfasi Paolo di Paolo nel recente articolo pubblicato su La Stampa del 22 gennaio 2014.
Mi sembra che non si debba neanche troppo evidenziare l’eccessiva presenza dello scrittore giovane che ha successo. Certo, oggi le case editrici come quelle discografiche e quelle cinematografiche sono alla continua ricerca di giovani talenti da lanciare. E come potrebbero non farlo. Ma anche Moravia nel 1929 a soli ventidue anni stupiva tutti con Gli indifferenti e il secolo prima Foscolo pubblicava a ventiquattro anni Le ultime lettere di Jacopo Ortis (1802). Ora, in un contesto in cui il pubblico è più ampio e il numero dei libri pubblicati in Italia è quasi raddoppiato tra il 1980 e il 1990 (da 19.500 a 38.000 secondo i dati Istat) ed è cresciuto del 47% tra il 1990 e il 2000, anche gli scrittori giovani sono più presenti e le editorie guardano a loro nella speranza di trovare un nuovo talento letterario.
Ma il fenomeno deve essere senz’altro ricondotto alle sue giuste dimensioni. Basta leggere la classifica dei libri più venduti in Italia nel 2013. Secondo le graduatorie riportate dal Corriere della sera, troviamo al primo posto Khaled Hosseini conE l’eco rispose (Bompiani), seguito da Dan Brown con Inferno (Mondadori), da Roberto Saviano con il suoZeroZeroZero (Feltrinelli), poi Andrea Camilleri con Un covo di vipere(Sellerio) e da Joël Dicker con La verità sul caso HarryQuebert (Bompiani). In sesta posizione compare Fabio Volo, conLa strada verso casa (Mondadori), in settima posizioneMassimo Gramellini con Fai bei sogni (Longanesi), in ottava e in nona posizione E. L. James con le Cinquanta sfumature di Grigioe di Rosso di (Mondadori).
Se torniamo indietro negli anni precedenti possiamo cogliere quella che – a mio avviso – è la caratteristica più evidente tracciata dal cambiamento della narrativa di questi anni, non certo identificabile nella presenza del best seller di successo già presente da tempo (come abbiamo dimostrato) o dello scrittore giovane, ma nella presenza disinibita, esagerata del sesso e dell’erotismo (quasi pornografia) nella letteratura. Stupisce invece che i critici letterari e quanti analizzano il mercato non abbiano quasi mai posto l’attenzione su questo aspetto, come se fosse consueto e tipico del panorama letterario. Il 2012 ha visto lo spopolare dei romanzi delle sfumature in grigio, romanzi erotici che indulgono alla rappresentazione disinibita dell’eros e della sessualità e che hanno venduto più di 30 milioni di copie in tutto il mondo.
Nello stesso anno in Italia il Premio Strega, il più popolare premio letterario del Paese, è stato assegnato ad un romanzo che indulge in tante pagine e in tanti episodi alla descrizione esplicita del sesso, Gli inseparabili di Alessandro Piperno. Se è vero, come è vero, che il romanzo è specchio dei propri tempi, senz’altro Inseparabili testimonia la crisi e la nevrosi dell’uomo contemporaneo, il tanto spazio concesso alla psicologia e alla sessualità. Ma è anche vero che la grande arte dovrebbe rendere conto non solo della mediocrità e della bassezza dell’uomo, ma anche dell’ideale e dei valori a cui la persona aspira.
Se poi tornassimo indietro di un altro anno e andassimo a vedere le classifiche dei romanzi più letti del 2010 e del 2011, scopriremmo che Fabio Volo ha occupato per tanto tempo il primo posto con Le prime luci del mattino. Quale “io” intercettano Fabio Volo e lo stuolo di altri scrittori che ammiccano a questa sessualità esplicita, esasperata, disinibita? Lo scrittore parla di un uomo ridotto a piacere e soddisfazione del piacere: il piacere deve diventare diritto, mentre il destino, il bene, il giusto non esistono. L’uomo non è fatto per un’esperienza di bellezza, di verità, di giustizia, di bontà, ma per liberarsi delle costrizioni, delle convinzioni, delle certezze con cui è cresciuto. L’esperienza di libertà è un processo di autonomia, ma non alla scoperta della propria interiorità, delle proprie domande di senso e di significato. C’è l’esaltazione dell’istintività pura, della libido, dell’irrazionale, della ribellione e della fuga dalla realtà.
Quando muore l’homo religiosus, quando si dimentica il vero desiderio dell’uomo, che è un desiderio immenso di Infinito, muore in realtà l’uomo stesso, che viene trattato come mezzo di soddisfazione o come ingranaggio di un sistema che deve funzionare. L’uomo perde così di vista il proprio fine e collabora inconsapevolmente ad un fine diverso. Questa è la radice dell’alienazione. La corporeità dell’uomo è trattata come mezzo per conseguire l’obiettivo agognato. Si assiste alla mercificazione del corpo maschile e femminile, alla sua strumentalizzazione, all’oscena separazione dell’interiorità dall’esteriorità.
Nell’uomo ridotto a sola materia il principio economico diventa idolo assoluto. Quando affermiamo che il principio economico è diventato un idolo, intendiamo dire che qualsiasi bisogno materiale viene assunto come esigenza imprescindibile per l’uomo, da soddisfare ad ogni costo. Diventa, cioè, diritto e in quanto tale deve essere rispettato, anche a costo di utilizzare mezzi non propriamente buoni. Nel contempo qualsiasi desiderio umano può diventare bisogno da soddisfare e, quindi, diritto. Nasce la società in cui si godono solo dei diritti e mancano i doveri e le responsabilità. In una cultura siffatta è anche facile indurre bisogni che in realtà non siano tali.