“Eugenio Corti comincia adesso. Ha finito la sua parabola terrena con serenità, finora è stato amato e conosciuto ma è certamente uno dei pochi autori italiani del 900 che resisterà a letture e riletture nei secoli a venire”. Così ricorda lo scrittore scomparso Cesare Cavalleri, direttore delle Edizioni Ares sin dal 1965 e anche l’uomo che per primo, coraggiosamente, pubblicò Il cavallo rosso. Eugenio Corti è morto ieri nella sua Brianza, luogo che, come ha detto Cavalleri a ilsussidiario.net, lo ha segnato come uomo e come scrittore: “Come sempre l’universale si dimostra nel particolare e dunque la provenienza di luogo in tutti i grandi scrittori è indispensabile. Da Tolstoj a Eliot il luogo di origine è una cifra che riscontriamo nei grandi scrittori; è dal radicamento in un luogo, se si è veramente grandi, che si può fare un discorso di carattere universale”.
Come nacque il suo rapporto di lavoro con Eugenio Corti?
Fu Gabrio Lombardi (giurista e politico, fu presidente del comitato promotore del referendum per l’abolizione del divorzio, ndr) che me lo fece conoscere nel 1974 ai tempi del referendum sul divorzio. In quell’occasione ci improvvisammo conferenzieri e andammo in giro a tenere conferenze sul tema. Eugenio stava scrivendo Il cavallo rosso, un lavoro che lo tenne occupato per dieci anni e io fui felice di pubblicarlo nel 1983. Corti è uno scrittore che ha sempre lavorato per i posteri.
Cosa significa che ha lavorato per i posteri?
E’ sempre stato uno scrittore di ampio respiro, basti dire che il suo grande ispiratore è stato Omero. Non ha mai ricercato successi immediati nell’attualità anche se questi non sono mai mancati, così come i grandi riconoscimenti pubblici, ad esempio la Medaglia d’oro che proprio l’anno scorso gli conferì il Capo dello Stato, o l’Ambrogino d’oro e tante altre.
Come lo definirebbe in una battuta dal punto di vista della scrittura?
Era un cristiano consapevole e profondo che traduceva con naturalezza questo suo essere cristiano nella sua opera quindi senza nessuno schermo, ma anche senza atteggiamenti confessionali o bigotti.
Qualcuno lo ha definito il Manzoni del 900, è d’accordo?
Direi che è riduttivo, trovo più appropriata la definizione che è venuta dopo le traduzioni francesi del Cavallo rosso e cioè di Tolstoj della nostra epoca. Il cavallo rosso è il Guerra e pace del 900, è una definizione che trovo più appropriata.
Il cavallo rosso negli anni è stato anche uno straordinario successo commerciale, se lo aspettava quando lo diede alle stampe la prima volta?
E’ vero, stiamo infatti facendo la 29esima ristampa. Non me lo aspettavo questo successo anche se la qualità del testo era straordinaria e si è visto subito. Poi c’è stato anche il successo di pubblico, soprattutto grazie al passa parola.
Corti in qualche modo al di fuori dell’ambiente cattolico è stato alquanto snobbato, perché?
Dal punto di vista della critica cattolica c’è stato subito ampio riconoscimento, dal filosofo Cornelio Fabro a Civiltà Cattolica. La critica più laicista non lo ha preso in considerazione per la lunghezza del Cavallo rosso, che non è facile. E’ anche il motivo per cui Garzanti non lo ha pubblicato, anzi snobbato a causa dei costi editoriali troppo elevati per un grande editore, mentre per noi fu più semplice pubblicarlo. La grande critica l’ha trascurato, ma francamente di una recensione di Repubblica, Corti e io ce ne siamo sempre infischiati. Ebbe invece un grande successo anche di critica in Francia dove è molto amato. Le Monde e Figaro hanno scritto cose bellissime sul suo lavoro.
La Francia non è un paese tradizionalmente ben disposto verso i cattolici, come si spiega questo suo successo Oltralpe?
E’ stato possibile perché i francesi non fanno distinzioni fra cattolici e laici. L’accademia di Francia ha sempre accolto i grandi pensatori cristiani, ci sono esempi di cardinali eletti accademici di Francia. C’è una tradizione di rispetto per la cultura cattolica nonostante le opinioni e Corti è stato riconosciuto non in quanto cattolico, ma in quanto scrittore.
Nelle scuole italiane lo si legge?
E’ molto letto, c’è stata un’edizione Mursia ridotta del Cavallo rosso proprio per farlo conoscere agli studenti.
Secondo lei quanto il suo essere nato e sempre vissuto in Brianza, terra feconda di popolo e fede cattolica, lo ha segnato?
Come sempre l’universale si dimostra nel particolare e dunque la provenienza di luogo in tutti i grandi scrittori è indispensabile. La Russia di Tolstoj o il correlativo oggettivo di Eliot sono una cifra che riscontriamo nei gradi scrittori. E’ dal radicamento in un luogo, se si è veramente grandi, che si può fare un discorso di carattere universale.
Corti oltre Il cavallo rosso ha scritto moltissimo: se lei dovesse consigliare un altro suo libro, quale sarebbe?
Tutti i lavori di Eugenio sono straordinari, ma dovendone indicare uno solo consiglierei con determinazione Catone l’antico. E’ un romanzo, come ha scritto Le Monde, che diventa un affresco storico: “Profondamente cristiano e anti fascista, Corti è uno dei grandi scrittori italiani di oggi. Sono capolavori come Catone l’antico che presentano un affresco storico e morale il cui rigore è pari solo al piacere che si prova nel leggerlo. Romanzo inclassificabile ci offre le chiavi per la nostra epoca”.
In conclusione, ci può lasciare un suo ricordo personale dello scrittore e amico?
Eugenio è morto a 93 anni, è chiaro che negli ultimi anni dal punto di vista fisico aveva difficoltà di vario tipo, ma è sempre stato lucidissimo e battagliero. Fino a pochi giorni fa, quando l’ho salutato, aveva progetti di riscrittura e lavorazione. E’ morto serenamente circondato dall’affetto della donna della sua vita, la signora Vanda. Quindi ha concluso la sua parabola terrena in serenità. Ma Eugenio Corti comincia adesso, finora è stato amato e conosciuto, ma è uno dei pochi autori del 900 che resisterà a letture e riletture nei secoli a venire.
(Paolo Vites)