I paragoni tra Matteo Renzi e Tony Blair si stanno sprecando. Quante similitudini tra l’ex sindaco di Firenze (non a caso la città italiana più amata oltre Manica) e il premier che fondò il New Labour. Similitudini più di immagine che di sostanza, peraltro. Due leaders arrivati giovani al vertice politico dei rispettivi paesi, progressisti ma non massimalisti, dinamici, pragmatici. Tutto vero, ma un giudizio più approfondito può venire dal confronto fra i retroterra culturali dei due, e magari anche religiosi.



Di Blair è noto il cammino spirituale che lo portò, dopo lunga riflessione, a convertirsi al cattolicesimo, una volta lasciato il numero 10 di Downing Street. L’avesse fatto mentre era in carica, l’avvenimento avrebbe suscitato un notevole scalpore, e anche una situazione imbarazzante per la Gran Bretagna, le cui leggi ancora oggi, a secoli di distanza dallo strappo di Enrico VIII e dalle leggi persecutorie di Elisabetta I, proibiscono che un cattolico possa essere primo ministro. In tempi di trionfo del Politically correct, un anacronismo assurdo, discriminatorio e spaventoso. 



Il buon Tony evitò al Paese e alla Corona una situazione davvero imbarazzante. La sua conversione avvenne ovviamente grazie al rapporto con la moglie Claire, che cattolica lo era da sempre, ma grazie anche all’incontro culturale con alcuni cardini del cattolicesimo britannico, in particolare il cardinale John Henry Newman, beatificato recentemente da Benedetto XVI, e con il romanziere John R. Tolkien, uno degli autori preferiti da Blair. Due nomi non celebrati particolarmente dall’establishment culturale dominante, ma che rappresentarono per Blair un fondamentale punto di riferimento. 



C’è da dire che la conversione di Blair non ebbe sull’opinione pubblica britannica (e potremmo anche dire internazionale) l’impatto che ebbero in passato altre conversioni “eccellenti” dall’anglicanesimo al cattolicesimo, come quella dello stesso Newman, o di G.K. Chesterton. Il Blair cattolico finì poi per scontentare entrambe le correnti del cattolicesimo inglese: i progressisti non smisero mai di rimproverargli l’alleanza con Bush nella guerra contro l’Iraq, o la liquidazione del vecchio laburismo solidarista, quello cantato nei film di Ken Loach, mentre i conservatori non digerirono il troppo debole impegno sui valori non negoziabili. 

Sarà così anche per Renzi? In Matteo un po’ di cultura cattolica inglese ci potrebbe essere, se è vero come si dice che tra i suoi autori preferiti c’è il grande Chesterton. Un Chesterton del quale speriamo che Renzi abbia letto tutto, non solo gli arguti racconti di Padre Brown o i romanzi surreali, ma anche la saggistica, l’apologetica, la difesa appassionata della ragione e della fede. Il Chesterton che denunciava l’eugenetica così come esaltava Uno, appeso sulla croce, che ha preso su di sé tutto il nostro male e l’ha redento, ci ha liberati dalle sue catene, ci ha reso liberi, ci ha resi capaci di una felicità impensabile. 

“L’uomo è una scintilla che vola verso l’alto. Dio è eterno. Chi siamo noi, a cui è data questa coppa della vita umana, per chiedere di più? Coltiviamo la pietà e camminiamo umilmente. Che cosa è mai l’uomo perché tu lo debba considerare tanto importante? L’uomo è una stella inestinguibile. Dio si è incarnato in lui. La sua vita è preordinata su scala colossale, della quale egli vede solo pochi scorci. Che osi tutto e tutto pretenda: è il Figlio dell’Uomo, che verrà in nuvole di gloria”.

Queste parole dell’inventore di Padre Brown potrebbero essere state scritte da colui che è stato il Chesterton italiano, ovvero Giovannino Guareschi, uno scrittore che sapeva guardare alla Verità pieno di stupore, nel suo Mondo Piccolo che era il riflesso del mondo grande, di ieri e di sempre. Un mondo dove si muoveva un tipo come Peppone, il comunista che dispiaceva alla censura americana degli anni 50, perché veniva considerato troppo “positivo” per un rosso. 

Guareschi in realtà era lontanissimo da qualunque “compromesso storico”, da qualunque sdolcinato” volemose bene”, da qualunque buonismo dove i rispettivi valori vengono annacquati. Peppone era un uomo, un politico, che aveva a cuore il bene comune del suo popolo, e su questo si incontrava pienamente con le ragioni, la fede e la volontà di Don Camillo. Entrambi, senza smussare di un centimetro i loro contrasti, si incontravano e si abbracciavano nell’amore e nella passione per l’uomo, che per il pretone nasceva dalla passione e dall’amore di Cristo.

Questo perché l’essenza del cristianesimo risiede nell’Incarnazione, cioè nella sconcertante verità di un Dio-uomo, e quindi sia l’essere umano nella sua unità di mente e corpo che il mondo naturale nella sua meravigliosa armonia non gli sono affatto estranei.

Guareschi non aveva la pretesa di insegnare a vivere, si accontentava che tutti quanti imparassimo a vivere, e a vivere un po’ meglio, in conformità con le leggi stabilite dal Padreterno nella Sua infinita sapienza.  

Guareschi era un grande scrittore che parlava dell’uomo che è uguale in tutti i tempi e in tutti i luoghi; sofferenza, gioia, timore, ansia sono propri di tutti.

Forse di Pepponi oggi non ce ne sono più, sono ben diversi i sindaci dei mille borghi italiani, e uno − addirittura − è arrivato a governare il Paese. Tra le tante sue responsabilità, Matteo Renzi ha anche quella di non tradire Peppone. Di non tradire i tanti uomini buoni e giusti che hanno avuto a cuore il bene della propria gente. La voce e i consigli del sindaco di Brescello, così come quelli di Padre Brown, potrebbero essere il migliore aiuto al nuovo Peppone.