François Fejtö nasce nel 1909 a Nagykanizsa in Ungheria sotto Francesco Giuseppe, il padre è un editore ebreo di orientamento liberale, la madre adottiva è cattolica ed è influenzato sia dell’ebraismo sia dal cattolicesimo, a cui si convertirà, riaffermando l’eredità culturale di una Europa centrale multinazionale e multiconfessionale.
Studia all’Università di Pecs e in seguito a quella di Budapest. Alla fine degli anni Venti aderisce a un gruppo marxista clandestino. Arrestato e incarcerato, si avvicina in seguito alle posizioni socialdemocratiche.
Nel 1935 fonda insieme al poeta Attila Jozsef, che riteneva il più grande poeta ungherese del XX secolo, la rivista letteraria Szep Szo. A causa del suo impegno politico e delle sue pubblicazioni viene sorvegliato dal regime fascista di Horthy: viene condannato a sei mesi di prigione per aver scritto un articolo contro la politica del governo a favore della Germania. Per evitare la prigione, nel 1938 sceglie l’esilio in Francia.
Durante la seconda guerra mondiale partecipa alla resistenza in Francia e dopo la condanna a morte da parte del regime stalinista ungherese di Laszlo Rajk, suo amico di infanzia, rompe i rapporti con il suo paese natale in cui ritornerà soltanto nel 1989 in occasione dei funerali ufficiali di Imre Nagy, l’eroe dell’insurrezione del 1956.
A Parigi lavora come giornalista all’agenzia France presse, seguendo le vicende dei paesi socialisti, di cui diventerà uno dei maggiori esperti. In Francia frequenta Emmanuel Mounier, gli intellettuali della cerchia di Esprit e, in seguito, frequenta il gruppo di Commentaire con Raymond Aron e Arthur Koestler. Sarà proprio Aron a spingerlo a scrivere la sua celebre Storia delle democrazie popolari, a cui seguirà Fine delle democrazie popolari. L’Europa orientale dopo la rivoluzione del 1989 (1990), scritta all’indomani del crollo del comunismo, in cui descrive il nuovo disegno europeo dopo il 1989.
In questo libro Fejtö ricostruisce i processi di formazione delle democrazie popolari nell’orbita sovietica, con particolare attenzione a quella ungherese.
Fejtö analizza il processo con cui l’Unione Sovietica, nei paesi occupati dall’Armata Rossa, si impossessa nel giro di pochi anni delle strutture statali (a cominciare dai ministeri degli Interni), descrive le alleanze con i partiti che poi venivano disciolti e il processo di stabilizzazione dei nuovi poteri.
Un altro classico della storiografia per lo studio dei paesi dell’est è il suo successivo Il colpo di stato a Praga. 1948, in cui spiega la salita al potere di Klement Gottwald in Cecoslovacchia.
Non posso non ricordare il suo contributo originalissimo dal titolo Requiem per un impero defunto sulla storia dell’ impero austroungarico, la cui dissoluzione per Fejto fu dovuta non tanto ai conflitti interstatuali e interetnici, ma invece a un disegno preciso dei vincitori della grande guerra che mirarono scientemente alla distruzione dell’Impero.
Fejtö è stato un grande storico, privo di pregiudizi, impegnato a capire le motivazioni all’origine di eventi che ebbero conseguenze sconvolgenti. Appassionato osservatore degli avvenimenti, ha saputo fare un’opera di ricostruzione, al di fuori della propaganda, con lucidità e lungimiranza, in specie tenuto conto delle difficoltà di accesso agli archivi in quel periodo. La sua storiografia è quindi tutta documentata su fonti sì di seconda mano, ma utilizzate in modo impeccabile, grazie al suo grande intuito di testimone intelligente e preveggente che non ha eguali.
Ho avuto la fortuna di conoscere François Fejtö e di incontrarmi con lui in varie occasioni durante i miei anni alla Fondazione Feltrinelli. Lo ricordo sempre immerso nello studio e nella scrittura, molto attivo e sempre impegnato nella preparazione di articoli sulle vicende dell’est europeo per i più prestigiosi giornali europei. Fejtö si definiva pubblicamente “un conservatore liberale socialista”: anche negli ultimi anni ha continuato la sua lotta denunciando più volte l’invasione serba della Croazia e della Bosnia, criticando l’inerzia europea di fronte alla guerra nell’ex Jugoslavia.
L’ultima volta l’ho visto a Parigi. Sua moglie Rose, compagna di una vita, era appena morta ed egli si era trasferito dalla sua casa a Neuilly-sur-Seine in un appartamento in centro.
Era contento perché in Ungheria venivano ristampati o pubblicati per la prima volta i suoi libri, ma allo stesso tempo era molto amareggiato per la nascita nel suo paese di tendenze di destra, che pensava fossero scomparse per sempre.
Era circondato da studenti ungheresi che per lui avevano una grande stima, quasi una venerazione. Sul cassettone c’era la foto di suo nipote Raphael Fejtö, uno dei protagonisti del film di Louis Malle Au revoir les enfants, il ragazzo ebreo che viene mandato nei campi di concentramento.
Capii che François Fejtö non aveva mai lasciato quel mondo mitteleuropeo. Un mondo a cui aveva dedicato un saggio-romanzo, Viaggio sentimentale, in cui racconta di un viaggio fatto agli inizi degli anni Trenta nei luoghi che furono dell’Impero austro-ungarico, per rivedere parenti, affetti e amicizie da Trieste a Budapest. Ebbi l’impressione che fosse tornato alle sue origini: un ungherese ebreo, uno storico militante, una coscienza critica, uno spirito libero.