Due sono le domande riguardo al denaro: cosa può comprare? E come è distribuito? Bisogna considerarle in questo ordine, perché solo dopo aver descritto la sfera in cui opera il denaro e la portata delle sue operazioni, avrà senso occuparci della sua distribuzione. Dobbiamo capire quale sia l’effettiva importanza del denaro. Il miglior punto di partenza è l’idea ingenua, che è anche la più diffusa, che il denaro ha un’importanza illimitata, è la radice di ogni male e la fonte di ogni bene. “Il denaro risponde a tutte le cose” dice l’Ecclesiaste; secondo Marx è il ruffiano universale che combina accoppiamenti scandalosi fra uomini e beni ed infrange ogni barriera naturale e morale. Marx avrebbe potuto scoprirlo nell’Europa dell’Ottocento, ma in realtà la trovò in un libro, nel Timone di Atene di Shakespeare, là dove Timone, scavando alla ricerca di un tesoro sepolto, interroga l’oggetto delle sue fatiche:



Oro? Oro giallo, fiammeggiante, prezioso? No, o dèi,
non sono un vostro vano adoratore. Radici, chiedo ai limpidi cieli.
C’è n’è abbastanza per fare nero il bianco, brutto il bello,
ingiusto il giusto, volgare il nobile, vecchio il giovane, codardo
il coraggioso…Esso
allontana…i sacerdoti dagli altari;
strappa di sotto al capo del forte il guanciale.
Questo giallo schiavo
unisce e infrange le fedi; benedice i maledetti;
rende gradita l’orrida lebbra, onora i ladri
e dà loro titoli, riverenze, lode
nel consesso dei senatori. E’ desso che fa riposare la vedova afflitta;
colei che l”ospedale e le piaghe ulcerose
fanno apparire disgustosa, esso profuma e prepara
di nuovo giovane per il giorno d’aprile. Avanti, o dannato metallo,
tu prostituta comune dell’umanità, che rechi la discordia
tra i popoli…



Timone si trova in uno stato di disperazione nichilistica, ma il suo è il linguaggio consueto della critica morale. Non ci piace vedere sacerdoti che si allontanano dagli altari, uomini forti privati di ogni comodità, fedi infrante o ladri cui sono conferiti una posizione e un titolo. “Ciò che ch’io sono e posso”, scrive Marx, “non è affatto determinato dalla mia individualità. Io sono brutto, ma posso comprarmi le più belle donne. Dunque non sono brutto…Io sono senza spirito, ma il denaro è lo spirito reale di ogni cosa: come dovrebbe essere senza spirito il suo possessore?” Questa è la “vera natura” del denaro forse in modo particolare in una società capitalistica, ma credo anche più in generale. Il denaro, dovunque venga usato, accoppia cose incompatibili, irrompe nelle “entità autosufficienti” della vita sociale, stravolge l’individualità, “costringe i contrari ad abbracciarsi”. Ma, ovviamente è proprio a questo che serve, ed è per questo che lo usiamo. In termini più neutrali il denaro è il mezzo di scambio universale; ed è una gran comodità, perché lo scambio è al centro della vita che condividiamo con altri uomini e donne.



Se lo intendiamo astrattamente, il denaro non è che una rappresentazione del valore e perciò non è implausibile sostenere che ogni cosa dotata di valore, ogni bene sociale, può essere rappresentata in termini monetari. Consideriamo la definizione del cinico attribuita a Oscar Wilde: “Un uomo che conosce il prezzo di tutto e il valore di niente”, è una definizione troppo assoluta: non è da cinici pensare che qualche volta il prezzo e il valore coincidano. Ma abbastanza spesso il denaro non rappresenta il valore: con la traduzione qualcosa, come succede con la buona poesia, va perduto”. Nei giorni in cui uscivano le ennesime stime dell’Unione Europea sul nostro Paese e che un giovane governo si accingeva a proporre un drastico cambiamento e ad affrontare sfide importanti, mi trovavo a riflettere sul peso del denaro nella nostra vita e sul suo valore. Credo che la lunga citazione di un brano di “Sfere di giustizia” di Michael Walzer sia un opportuno stimolo per ragionare su che società vogliamo per i nostri figli, cosa pensiamo si possa comprare e dove vogliamo andare. “Shakespeare e Marx – sintetizza Walzer – erano contrari all’universalità del mezzo, non al mezzo in sé”. E noi?