La vocazione dell’intellettuale è aiutarci a leggere la realtà, decifrare i segni dei tempi. Il suo genio è vedere in anticipo, pre-vedere, la direzione che sta imboccando la storia, e quindi le urgenze più vere per la società e per la Chiesa. Ma umilmente, senza l’ansia di un’egemonia culturale, restando al proprio posto, consapevole che alla fine non saranno le proprie analisi, per quanto intelligenti o la propria preveggenza, per quanto profetica, a salvare se stessi e tanto meno il mondo. Assolve in questo modo alla sua vocazione intellettuale Massimo Borghesi, toscano di borgo San Sepolcro, romano d’adozione, professore di filosofia all’Università di Perugia. L’editrice Studium ha pubblicato una raccolta di suoi articoli e interviste che abbracciano l’intero arco del pontificato di Joseph Ratzinger, dal 2005 al 2013: Senza legami – fede e politica nel mondo liquido: gli anni di Benedetto XVI.
Sono interventi brevi, scritti per un pubblico non specialistico. Si leggono agevolmente, spaziano dalla cronaca alla politica, dai dibattiti culturali alla vita della Chiesa. E sono tutti straordinariamente attuali. Pagina dopo pagina emergono alcuni dei filoni originali che hanno ispirato la riflessione e le battaglie di Borghesi in questi anni. Un primo filone, nello sfondo della “società del vuoto”, è la critica dell’ideologia teo-con, di importazione americana, che nella traduzione fornita dal Foglio sembrava sedurre influenti ambienti cattolici ed ecclesiastici: strana miscela di battaglie antiabortiste e benedizione delle guerre americane in Iraq, di conservatorismo sui “valori” e sacralizzazione del capitalismo. A motivare la critica di Borghesi non è tanto una divergenza politica, e nemmeno le posizioni di Ferrara in sé, ma l’ingenuità cattolica che non si avvedeva del rischio mortale di ridurre il cristianesimo a un’ideologia: i famosi militanti “cristianisti” di cui parla Rémi Brague, con tante buone idee cattoliche ma senza più.. Gesù.. la sua tenerezza di sguardo sugli uomini e sulle cose.
L’altro filone interessante è la lettura in controtendenza del pontificato di Benedetto XVI. Borghesi fin dall’inizio rifiuta il cliché del panzer kardinal reazionario, chiuso alla modernità, ossessionato dalle questioni di etica sessuale o familiare.
Cliché in cui si rifugia per pigrizia mentale e pregiudizio molta parte della stampa laica, e su cui di fatto converge, in modo opposto ma speculare, anche certo cattolicesimo fondamentalista, sedicente “ratzingeriano”. Il filosofo toscano vede nel legame profondo con sant’Agostino la chiave profonda del pontificato. Il ritorno ai padri della Chiesa, agli autori cristiani dei primi secoli, considerati più moderni ed attuali perché noi come loro ci muoviamo in una società non cristiana, pagana. E navighiamo in mare aperto, come loro, costretti a puntare sull’essenziale, sul fascino immediato dell’incontro con Cristo, non essendoci più gli appoggi e gli orpelli della vecchia cristianità.
Uno sguardo che valorizza di Benedetto proprio gli aspetti che più gli erano negati: la mitezza e l’umiltà. Insieme alla coscienza radicale che la Chiesa non è nostra, nemmeno del papa, ma è solo Gesù Cristo che la conduce. Grandezza umana di un uomo di Dio, che anche in campo laico molti scopriranno più tardi, di fronte al gesto inaudito e “rivoluzionario” della rinuncia al papato “per il bene della Chiesa”.
Il 27 febbraio 2013 era il penultimo giorno di pontificato di Benedetto XVI. Intervistato da Città nuova Borghesi diceva: “Benedetto è, è stato, il papa della grazia, della misericordia, della mitezza, del sorriso buono. Questa è la consegna per la Chiesa che viene e così lo vogliamo ricordare”. Il conclave doveva ancora aprirsi ma rileggere oggi quelle parole sul papa della misericordia, con il sorriso buono, come la “consegna per la Chiesa”, come il vero lascito di Ratzinger, impressiona profondamente. Sembra una profezia di Papa Francesco. E l’impressione si accresce risfogliando una delle prime interviste a Borghesi, il 13 aprile 2005, pochi giorni dopo la morte di papa Wojtyla: “È come se oggi dentro la chiesa − e anche dentro la società secolare − ci fosse bisogno di un cristianesimo che torni a parlare un linguaggio semplice, in modo essenziale. In questo senso la figura di un papa pastore che cura le anime, parroco del mondo, verrebbe incontro a una esigenza diffusa… L’immagine del papa che si prende cura delle persone, che accarezza i bambini, si china sui malati, è l’immagine più schiettamente cristiana della figura del Romano Pontefice… Di fatto ciò che rimane nella memoria del popolo cristiano sono, anche a distanza di anni, proprio quelle immagini di affetto e della cura papale”.
Pre-vedere la storia. Descrivere papa Bergoglio senza ancora nemmeno conoscerlo, con otto anni di anticipo.