Non è una battuta d’effetto. Un individuo nell’oscurità può vedere cose che con la luce scompaiono, soprattutto cose immateriali, che hanno a che fare con l’anima. È quello che succede al protagonista di Uomo nel buio, romanzo che Paul Auster ha pubblicato nel 2008.
Autore immaginifico, riesce nell’ardua impresa di scrivere storie apparentemente irrealistiche con saldi ancoraggi alla realtà che il lettore può usare per identificarsi. I suoi personaggi non sono solo interpreti di un racconto, ma paradigmi per la comprensione della visione che percorre la narrazione. Influenzato da alcuni autori francesi di cui è stato anche traduttore (Mallarmé, Sartre), Auster ha vinto molteplici premi letterari (tra cui il Prix France Culture de Littérature Étrangère nel 1989) e ha scritto romanzi, poesie, sceneggiature, saggi e autobiografie. È stato pubblicato anche un suo carteggio con l’autore sudafricano Coetzee.
Il protagonista di Uomo nel buio è August Brill, immobilizzato e costretto a passare dalla sedia a rotelle al divano, o al letto, a causa di un incidente di auto. Lo scenario della sua convalescenza è una casa in Vermont. Dopo aver trascorso la giornata a guardare film in tv con sua nipote Katya, figlia unica della sua unica figlia Miriam, August sperimenta, a sera, le difficoltà di un’anima in pena che vorrebbe non solo riposare ma anche far calare il sipario sulla devastazione che ha colpito la sua famiglia. I motivi per cui è insonne sono diversi ma tutti fanno capo al dolore. Il dolore per la vedovanza (sua moglie è da poco morta di cancro), per la solitudine di sua figlia separata da cinque anni, per il dolore di sua nipote che ha appena perso il giovane fidanzato in guerra.
Dunque, uno sfondo emotivamente impegnativo per un uomo già messo alla prova. Però August è la dimostrazione che la mente, sollecitata da sentimenti negativi, diventa creativa. Nella testa di questo vecchio signore prende vita Owen Brick, e qui inizia la storia nella storia, una costruzione in cui Auster è molto bravo avendoci già provato con successo con La notte dell’oracolo (2003). Questa nuova vicenda si incastra così bene nel filone principale che, procedendo nella lettura, ci si dimentica che non è la storia a cui il titolo corrisponde perché prende il sopravvento su August, la figlia, la nipote e il loro dolore congiunto.
Ci troviamo a seguire Owen, arruolato suo malgrado in una missione omicida, in una serie di avventure da fantastoria, sullo sfondo di una guerra civile americana scoppiata all’indomani delle elezioni del Duemila. Owen ha i giorni contati così come August vorrebbe che contati fossero i suoi giorni da uomo che si sente solo e inutile in un mondo fatto di tristezza. La tela si tesse intorno alle vite di questi due uomini, il “reale” August e il fittizio Owen, in modo tale che gli errori che Owen commette nel suo assurdo percorso coincidano con la risoluzione di August a farla finita. In realtà quando finalmente Owen viene ucciso dalla fantasia di August, succede il piccolo miracolo.
Ancora una volta la mente ci stupisce con la sua capacità di superare se stessa. Ora che tutto sembra perso, il dolore più insopportabile (non quello della gamba ovviamente), la realtà più invivibile, ecco che August vede delinearsi nel buio delle sue notti insonni (nonostante la morte di Owen, August è sopravvissuto) la sua possibilità, la possibilità di una vita ancora, del senso che il suo essere padre e nonno può avere per due donne che lottano con le avversità e la durezza della vita. Quindi, non un vecchio ormai fisicamente poco abile ma un uomo con una grande esperienza che può far luce sui drammi e condurre a una rinascita.
Il libro si legge tutto d’un fiato perché le due trame August-Owen sono sapientemente alternate e tengono il lettore incollato al libro. Le parti di Owen sono quelle concitate, ad alta tensione nonostante la scarsa verosimiglianza voluta dall’autore, della guerra senza senso e della distruzione, e quasi ci si rifugia volentieri nelle quattro pareti anguste della mente di August, fatte del buio delle sue interminabili notti, di cene semi-silenziose con due donne tristi, di ricordi malinconici dell’esistenza di prima, con una moglie e una vita in Francia. Sullo sfondo la figlia insegnante che vuole scrivere un libro sulla storia della famiglia, quella che August rivive ogni notte e racconta alla nipote ogni giorno.
Nonostante tutto, gli agganci alla realtà sono molteplici, non solo per il fatto che lo stesso Auster ha passato un periodo della sua vita in Francia, a Parigi per la precisione, che gli ha dato la possibilità di conoscere e tradurre diversi autori francesi.
Il riferimento alla guerra in Iraq è esplicito. La morte di Titus, fidanzato della nipote di August, avviene a Baghdad ed è assurda come lo sono state le migliaia di morti per quella guerra, come per tutte le guerre. Titus è un ragazzo intelligente e bravo a scuola che parte per l’Iraq, contro il parere di tutti, come autista di camion. Quindi, non un militare combattente ma un ragazzo che vuole fare la differenza con un lavoro umile in una situazione difficile. La sua morte, per mano di rapitori estremisti, viene ripresa in televisione e trasmessa dai telegiornali. In America, a casa, apprendono la notizia come si apprendono spesso le notizie nel terzo millennio. Il nesso realistico è rinforzato dal fatto che il libro è dedicato allo scrittore David Grossman (a sua moglie e ai due figli superstiti) che nel 2006 ha perso il figlio Uri in occasione della guerra in Libano, giusto qualche giorno prima del cessate il fuoco che con tanta responsabilità si era impegnato a promuovere in Israele.
August diventa il mentore di sua nipote quasi senza volerlo, commentando con lei i film che vedono, un modo sano di evadere dal dolore fisico e mentale che accomuna entrambi, e di dare un senso alle giornate che passano (Katya ha lasciato da un anno la scuola in seguito al lutto). Anche i riferimenti agli autori e ai film reali, che Auster fa vedere ad August e nipote, servono da ancoraggio per trasferire l’importanza di ridimensionare i propri drammi conoscendo quelli degli altri, di vedere un barlume di speranza anche nelle piccole cose di una quotidianità sbilenca e di comprendere che le disgrazie che hanno colpito le tre persone sotto quel tetto in Vermont hanno un senso, quello di ricostruire una famiglia dalla distruzione di tre.