Sul pungolo di una crisi economica di vaste proporzioni, l’italiano medio si è accorto che l’uovo di Pasqua si è rotto, senza mostrare la sorpresa, ma aprendo lo spirito a una realtà più vicina all’oggettività storica del momento. Siamo diventati più coscienti, abbiamo preso coscienza del limite umano e anche, si spera, più disponibili alle gioie semplici e naturali che l’ambiente ci offre. I rapporti umani non hanno bisogno di grandi regali o di ferie esotiche per esseri sinceri e genuini. Basta un sorriso, una cortesia, un saluto gentile e un ascolto amicale per trasformare la condizione umana nei suoi connotati autentici, rendendo la vita più dignitosa e vivibile.



La Pasqua ebraica rammemora l’audacia di un popolo, quella di sfidare il deserto per guadagnare la libertà. È un insegnamento pedagogico spirituale anche per l’uomo moderno per avere “il coraggio di essere felici” (papa Francesco), superando gli ostacoli della vita con la supremazia dello spirito. È anche – e, ancor più, la Pasqua – il passaggio del Mar Rosso e il deserto a piedi per anelare alla Terra Promessa, il progetto di Dio per Abramo e il suo popolo divenuto numeroso “come le stelle del cielo”. L’impossibile impresa diventa possibile con il sacramento della penitenza: un incontro di perdono con la misericordia divina. L’uomo peccatore diventa oro purificato dal crogiolo della Passione di Cristo, anima redenta da un Dio.



“Ho tanto desiderato consumare la mia Pasqua con voi”, confida ancora Cristo ai suoi ignari discepoli. È un sommesso, ma lancinante grido d’amore di Dio per ogni uomo. È Dio che insegue l’uomo e l’uomo non ha che da lasciarsi afferrare da Lui; e ascoltare, meditare, contemplare e vivere quell’esperienza del Dio dialogante che prende sempre l’iniziativa.

“Avendo amato i suoi che erano nel mondo, li ha amati fino al grado supremo”. È l’esplosione dell’amore compassionevole, è il sangue divino offerto in immolazione, affinché ogni uomo diventi figlio di Dio, sentendosi famigliare della Trinità di Dio. Vivendo una condizione in cui sempre ha la gioia di sentirsi attivamente redento da Cristo e intrinsecamente trasformato da uno spirito “che sempre geme – orante – davanti a Dio con suppliche e orazioni”, afferma San Paolo.



La Pasqua, coerentemente, interpella ogni cristiano a gustare la libertà di Cristo, a riflettere sull’onda delle asserzioni paoline, che non è la legge – osservanza esteriore, formalismo legalitario – ma l’evento pasquale a giustificare l’uomo davanti a Dio. Così il finito ha l’attitudine ad abbracciare l’infinito, l’uomo a toccare il cielo, la terra a vedere la stella, punto di riferimento del lungo cammino umano. Spesso percorso pericoloso, pieno di insidie sottili, di sfide aspre. Solo un uomo radicalmente cristiano possiede gli strumenti per superarle vittoriosamente.

La Pasqua diventa così anche metafora di quel cammino progressivo e continuo di un vivere consapevole, nella certezza che l’esperienza umana non è un esistere solitario, ma un percorso in compagnia di Cristo, nostro amico, nostro angelo vigilante, nostro collega di viaggio. La sua esperienza drammatica, ma non tragica, diventa pure il nostro vivere. Il Cristo morto, risorto, asceso al cielo costituisce così il paradigma del nostro stesso progetto esistenziale.

Saremmo all’altezza di un ideale tanto puro e tanto grandioso? Il cristianesimo non è un sistema di nobile dottrina nata da una genialità filosofica sublime, ma un’esperienza di vita le cui direttrici sono fornite da alcune intuizioni annunciate da Cristo, totalmente Dio, totalmente uomo nella persona divina. Il credo niceno è la sintesi dogmatica della sostanza di un annuncio redentore nell’integrità dell’uomo, elevato a un vertice supremo da un disegno provvidenziale di Dio, padre di ogni creatura con delicato amore.

Echeggia ancora il grido di San Paolo: “Se Cristo non fosse risorto, vana sarebbe la nostra fede”. Questa è la nostra saggezza che vince la malizia del secolo: anche noi solidali con Cristo nella speranza della resurrezione. È la nostra libertà pasquale.