Non piove più. Guarda quegli uomini che lo tirano giù.
Sono ricchi. Sono farisei. Amici suoi.
Hanno già deposto i filatteri, la sera è avanzata, questo Shabbat si annuncia greve. Sicuro, hanno portato un paio di servi per il lavoro duro. Il centurione li osserva e sembra piangere.
Con quella faccia da soldato intero li ha mandati da Pilato, sorpreso fosse già morto il suo innocente. Il cambio sconveniente con Barabba, bandito barattato con il condannato del Sinedrio; un capo religioso, un Profeta, da togliere di mezzo rapidamente. Pilato lo ha presentato al mondo, insanguinato, incoronato, addosso il drappo rosso di re Erode: “Ecce, Homo”. Queste due parole sfuggite dalla bocca ha sentito che non venivano da lui, dalle profondità dei suoi polmoni, un’altro alito le ha dette, le ha annunciate. Pilato si è tirato indietro. Si è lavato. Ora, stupito che tutto sia già finito, ha detto certamente, è vostro, irrimediabilmente. Prendetelo, non è mai stato mio. Meno che mai da morto; e manderà le guardie a vegliare sul sepolcro, Caifa ha paura ma lui, il capo dell’esercito latino ha ancora più paura del divino.
Invece questi due pare non lo temano, si sfiorano, vestiti così bene davanti all’uomo nudo. Crocefisso.
Bianchissimo.
Ordinano ai servi la prudenza. Piano, fate piano… Nicodemo è più agitato. Giuseppe, affranto, ma sembra solo stanco al confronto.
Il primo ha comprato una mistura di aloe e mirra, un orcio intero; l’altro apre il suo sepolcro. Si sono consolati; aspettati. Mentre Caifa percuoteva il Giusto sulla guancia, alla pronuncia della Sua testimonianza, loro hanno sentito il colpo nel petto: no, qui non sto. Non posso restare in questo Tribunale, questa Legge seppur giusta non è vera. Non in questa maniera.
Nicodemo in verità aveva già tentato di difenderlo nel Tempio; che non si metta in dubbio la sua coerenza, che non si accusi lui di incompetenza; lo aveva osservato, ascoltato i testimoni dei miracoli. Poi, di notte, era andato a cercarlo: “Rabbì, sappiamo che sei un maestro venuto da Dio” ma io, io, come posso rinascere da vecchio? E all’alba se ne era andato, perché la verità viene dalla luce; ma era anche ritornato, nella notte più nera delle notti, il nardo tra le mani, il suo cuore un vaso di profumo rotto sul suo profeta morto.
Giuseppe, come il nome del padre di quest’uomo. Si dice sia stato buono; nato in una città lontana, Arimatea, ma voleva vivere in Gerusalemme; era ricco, lì aveva comperato casa per questa vita e per l’attesa, un sepolcro scavato nuovo da cui avrebbe risposto prontamente alla tromba dell’angelo annunciante.
Vivere con Dio, diceva, in attesa della Sua chiamata. Aveva creduto di essere chiamato.
Aveva sentito la Sua voce, quella di un uomo che chiama nel deserto, aveva sussultato e si era detto: ecco! L’uomo era giusto, di conseguenza faceva cose giuste. Anche miracoli, certo, notevoli, ma quello non gli bastava.
Lui voleva Lui.
Come l’amico Nicodemo, cui sedeva accanto nel Sinedrio, non aveva messo la Legge avanti a tutto. Anche all’evidenza. Giuseppe credeva all’esperienza. Era un uomo intero: parlava con le opere, al bisogno, non un filosofo ma un artigiano vero. La verità si vede da quello che fa.
Quel Cristo non si limitava a predicare: guariva, perdonava. Chi era? Giuseppe se lo domandava.
Fu Caifa a dirlo, all’alba di quel giorno maledetto, stracciandosi le vesti alla bestemmia. Ma certo! Chi altrimenti… avrebbe fatto, avrebbe detto, sarebbe stato…
Un uomo, le membra slogate dalla croce, il costato squarciato dalla lancia, il sangue dato.
Non serve lavarlo, è così puro.
Il corpo del Cristo calato tra le loro braccia: Giuseppe si sporge, lo tocca.
Oh, averlo fatto quando era ancora vivo!
Nicodemo è disfatto, lui ne era stato amico, lo aveva interrogato una notte intera.
Ordina di appoggiarlo sulla pietra. Apre la brocca, versa l’olio e la speranza. La sua attesa si disperde con quel profumo prezioso, sopra un cadavere, lo onora. Onora la fine e la disperazione.
Il suo amico perduto. Tutto perduto.
Sconfitta la Legge e la Giustizia, solo la morte è vera. Muore anche la parola. Nicodemo tace, ha smesso di domandare, ogni risposta persa sotto le sue dita, niente lo riporterà in vita. Nessuna avventura, nessuna favoletta o imbroglio: è morto. Certo. Punto.
Giuseppe svolge il telo; nuovo, il sudario.
Avere la possibilità di dare una casa al Cristo: quello che è mio è tuo, Signore.
Non finirai in una fossa comune. Ti stenderai nel luogo che ho voluto per il mio riposo, nel mio letto. E, quando accadrà che morirò Signore, sarò con te. Ho bisogno della tua Compagnia. Entrerò anch’io nel ventre della roccia e attenderemo insieme il tempo eterno. Con te accanto tutto sarà più facile, anche morire. Ti hanno ucciso, uomo tra gli uomini, sangue innocente sparso come niente; o come tanto, altro, sempre: guerre, vendette o solo per il gusto di ottenere tutto. Uomo, figlio dell’Uomo ti chiamavi, ora che ti tengo il volto tra le mani, lo so quanto lo sei, adesso, mio, fratello nella morte: figlio di Dio.
Giuseppe lo avvolge sotto gli occhi delle donne. Le bende, attorno al mento, le monete.
Teneramente.
Stanno in disparte, a sorvegliare.
Una, rossa di fiamma e in viso, osa. Parla.
Indica quella che invece tace.
I due uomini si scostano, obbedienti al volto della madre.
Vieni pure, donna. Ma che donna.
Che volto, che sguardo.
Ora che Lui è morto, i lineamenti liberi dalle mani del dolore, riaffiora la dolce somiglianza, fiorisce sulla superficie della pelle: mamma.
Giuseppe trema, così, inginocchiato, mentre regge il capo di suo Figlio, il magnifico frutto del suo amore, trema sfilando l’ultima spina dalla fronte: cauto, si punge, sanguina anche lui.
Perdonami, le dice. Non voglio fargli male.
Nicodemo, uomo del pensiero, taglia corto: donna, ormai è morto. Facciamo il dovuto, compiamo il rito. Quella roccia è nuova, dono di Giuseppe, mio il profumo. Lo metteremo nel ventre del monte, gli rotoleremo avanti il masso. Comincia il Sabato. Noi lo onoriamo.
Lei tace.
Loro, quanto vorrebbero invece due parole, anche le lacrime, spartire il dolore.
Ma Lei non piange. Sta.
Ferma come quella roccia, aperta, scavata. Lei è la montagna, lei la terra intera. La calpestata, la lacerata, la puerpera bagnata; accanto al Figlio, nudo, avvolto nella fascia bianca. Sorride, un poco, è stanca.