Riforma del papato, riforma della curia romana, promozione della collegialità/sinodalità e decentralizzazione, trasparenza e rigore nella conduzione delle finanze… Tutto questo è molto importante nel pontificato di papa Francesco. Tuttavia ci sono cose più importanti, prioritarie, che stanno succedendo e che ci stanno interpellando tutti quanti. La prima domanda che dobbiamo porci, individualmente e collettivamente, che i pastori e i fedeli si devono porre e che speriamo si stiano ponendo i capi di Stato, i dirigenti politici, gli imprenditori e i sindacalisti, gli uomini della cultura e della comunicazione sociale, è questa: cosa ci sta facendo vedere Dio, cosa ci sta dicendo Dio, cosa ci sta chiedendo Dio di cambiare nella nostra vita con la mediazione del pontificato attuale, attraverso la presenza, la parola e i gesti di Papa Francesco? 



Se non ci poniamo a fondo questa domanda, rimaniamo alla superficie e siamo più persi che mai. Possiamo essere molto contenti, ripeto – e questo va molto bene -, però non possiamo fare a meno di interrogarci sulle nuove esigenze e responsabilità che il suo pontificato porta con sé, per la vita di ogni cristiano, per la vita delle comunità, dei movimenti, delle associazioni cattoliche, per la vita delle nostre chiese locali, per tutto il popolo di Dio che è in cammino in cammino in America latina e, soprattutto, per i suoi pastori.



Guai a noi se, soddisfatti, contenti, ma senza inquetudine nell’anima, continuiamo a vivere come se, in effetti, nulla fosse successo, senza cambiare nulla, facendo le stesse cose, abituati a questo “grigio pragmatismo della vita quotidiana della Chiesa” – come diceva il cardinale Joseph Ratzinger a Guadalajara e come hanno ripetuto i vescovi latinoamericani nel documento di Aparecida (n. 12), “dove, apparentemente tutto procede in modo normale, ma, in realtà, la fede si sta logorando e sta degenerando in meschinità”.

Chi legge attentamente l’esortazione apolistica Evangelii Gaudium, non solo s’imbatterà in numerose citazioni del documento di Aparecida, come di nessun altro documento del magistero della Chiesa, ma si accorgerà che la suddetta esortazione è in continuità con Aparecida e fortemente influenzata da essa. Il Papa propone direttive per il cammino del popolo di Dio e di tutti i suoi discepoli missionari. Si tratta, allora, di assimilarle bene e di applicarle in modo creativo.



Papa Francesco non si stanca mai di richiamarci a questa conversione personale. Fin dall’inizio del suo pontificato, non fa altro che cercare di arrivare – per grazia di Dio e per la sua esperienza pastorale – al cuore degli uomini che ha davanti a sé. E la prima condizione per farlo è questo esporre se stesso, implicarsi in prima persona con la sua testimonianza personale, al di là di ogni schermo od ostacolo che sono d’intralcio a questa comunicazione da un cuore all’altro. E la gente si sente toccata percependo l’abbraccio di un amore misericordioso, misterioso e travolgente, pieno di affetto, tenerezza e compassione. 

Questa conversione personale a cui tutti siamo chiamati deve essere inseparabile dalla “conversione pastorale e missionaria” che Papa Francesco e l’episcopato latinoamericano stanno chiedendo a tutte le comunità cristiane. Su Aparecida e nella Evangelii Gaudium si chiede una conversione pastorale delle strutture, delle comunità ecclesiastiche e dei progetti pastorali, perché non si fossilizzino per inerzia e non perdano il dinamismo evangelizzatore. “La conversione pastorale delle nostre comunità esige che si passi da una pastorale di conservazione a una pastorale decisamente missionaria” (Aparecida, 370).  E questo atteggiamento “implica l’ascoltare con attenzione e discernere quello che lo Spirito dice alle Chiese” (Ap. 2, 29), attraverso i segni dei tempi in cui Dio si manifesta, tra cui le trasformazioni sociali e culturali dei contesti di incarnazione e missione della Chiesa.

“Uscire” è il verbo più usato da Papa Francesco: uscire dalla nostra autosufficienza, uscire dalla nostra autoreferenzialità e dalle astrazioni ecclesiastiche, uscire dai nostri cavilli di compiacimento. E andare incontro alle periferie della società e dell’esistenza, nelle quali sono in gioco specialmente la vita e il destino delle persone, delle famiglie e dei popoli. Il cardinale Jorge Mario Bergoglio non ha forse messo in pratica questo “uscire” e andare incontro alle “città misere”, nelle periferie bisognose di quella grande metropoli? Non possiamo forse considerare l’America latina come una grande periferia che sta emergendo nell’ordine del mondo e nella cattolicità? Non sono periferie anche tutti gli “areopaghi”, dove ancora non si conosce il Salvatore, gli ambienti più secolarizzati della cultura intellettuale, il mondo autoreferenziale della politica, del potere e della ricchezza, le reti dell’indifferenza e il tempo delle ricerche affannose di un significato della vita e della realtà? Il pontificato di Jorge Mario Bergoglio dà una forza e una luce totalmente nuove alla già impetuosa  forza di Aparecida per la “missione continentale”, oggi convertita in missione universale.

Ci sono oggi grandi opportunità date dall’educazione e dall’evangelizzazione. Il pontificato di Papa Francesco sta esercitando ovunque una grande attrazione, in modo particolare nei popoli latinoamericani. Il cardinal Bergoglio era rimasto molto impressionato quando papa Benedetto XVI aveva detto, in occasione della Messa di apertura della quinta Conferenza generale di Aparecida, che il cristianesimo cresce non per proselitismo, bensì per attrazione. La missione nasce, ha detto papa Francesco ai vescovi del Brasile, dal fascino divino e dallo stupore di un incontro. Cos’è la missione, alla quale Papa Francesco ci spinge con veemenza, se non un’attrazione, l’attrazione di una bellezza nella vita – splendore della verità! – che desta i cuori addormentati, che infrange la barriera dell’indifferenza, che fa cadere pregiudizi e resistenze, che mette in moto i desideri più profondi del cuore dell’uomo, che suscita presentimenti curiosi e domande piene di aspettative? 

Oggi è un tempo provvidenziale di grazia per diffondere la nostra testimonianza cristiana, con umiltà e semplicità di cuore, e dare ragione della speranza che anima la nostra vita. Per questo motivo, tutte le comunità cristiane – chiese locali, parrocchie, comunità religiose, associazioni, movimenti, comunità ecclesiali di base e piccole comunità – sono chiamate a un profondo esame di coscienza: quanto rendiamo Cristo visibile, quanto siamo portatori di Cristo – “cristofori” – nonostante l’opacità del nostro peccato? Quanto le nostre comunità sono case e scuole di comunione, orazione e vita nuova, che non solo sostengono e fanno crescere la vita dei cristiani contro le intemperie della secolarizzazione, ma danno anche una testimonianza sorprendente di questa fraternità che sorprende in società atomizzate, lacerate e polarizzate? 

Come ha detto papa Francesco, non sarà una fede “liquefatta”, “assimilata alla mentalità di questo mondo”, sottomessa a contaminazioni ideologiche, a dare testimonianza della sua verità e della sua bellezza, bensì una fede accolta e vissuta con fedeltà, radicalità e gioia. 

Già nel periodo di pontificato di papa Benedetto XVI, quando riecheggiavano le sue parole sulla “rivoluzione dell’amore”, definendo il  cristianesimo come “il mutamento più radicale della storia”, il mio maestro e amico Alberto Methol Ferré affermava che, dopo la fine e il fallimento storico della tradizione rivoluzionaria senza Dio, contro Dio, solo la Chiesa poteva riprendere in modo credibile il linguaggio della rivoluzione. Non so se lo avesse letto, Jorge Mario Bergoglio, che, come papa Francesco, ci invita a essere testimoni e protagonisti di questa rivoluzione dell’amore, della “rivoluzione della fede”, della “rivoluzione della grazia”, certamente la più rivoluzionaria perché cambia radicalmente la persona e infonde instancabilmente dosi di amore e verità, solidarietà e fraternità nella vita dei popoli. Persone e popoli che sono i pilastri della storia, sotto la luce e la forza del Signore della storia! È la “forza di vita senza eguali” della resurrezione (EG n. 276). Non è forse una rivoluzione evangelica quella che stiamo vivendo nell’epoca di Papa Francesco? Oggi veniamo sfidati a dimostrare, coi fatti e non solo con le parole, che il Vangelo è la migliore risposta, la più adeguata e conveniente alla sete di felicità e giustizia che abita nel cuore dell’uomo.

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