Quella che noi siamo abituati a chiamare Storia non è altro che l’insieme delle azioni di grandi uomini, siano essi l’esempio di grandezza assoluta o sintesi di malvagità estrema. Ma il motore della Storia è un altro.

Il motore della Storia sono i milioni di uomini che lottano con le loro inadeguatezze, con le loro paure e le loro ambiguità. Persone che non prendono decisioni nette, ma che fanno del loro meglio. Magari sbagliano, magari reagiscono troppo tardi, ma comunque cercano di resistere ai loro istinti e, anche se non sempre l’hanno vinta, scelgono di andare controcorrente per continuare a sentirsi umani. Io no. Io sapevo quale fosse la cosa giusta da fare, io sapevo quale decisione sarebbe stata in linea con il principio di giustizia a cui questa corte si ispira. Invece abbiamo condannato Drazen Erdemovic con un compromesso odioso di cui io sono stato l’artefice decisivo, condannato perché non doveva trovarsi lì, perché dall’arruolamento avrebbe dovuto immaginare che sarebbe finito in una fattoria a giustiziare vecchi e bambini.



Lo avrebbe dovuto intuire perché giravano molte voci a riguardo, lo avrebbe dovuto immaginare perché questo è quello che succede quando ci si arruola nell’esercito. Ci troviamo davanti al più grande crimine compiuto in Europa dalla fine della seconda guerra mondiale e noi pretendiamo che l’imputato avrebbe dovuto in qualche modo immaginarlo. Non un fanatico, non un giovane che ha subito il lavaggio del cervello, ma uno degli ultimi a prendere parte al conflitto, quando tutte le altre alternative erano esaurite, per sfamare moglie e figlia. Può esistere la giustizia degli uomini? Possiamo davvero fare giustizia come esseri umani? Esseri umani spesso guidati dal più alto desiderio di equità, ma pur sempre figli della loro storia e dei loro piccoli problemi quotidiani, di inezie che possono portare a cambiare l’ordine degli eventi.



L’ordine. L’unica ambizione a cui una corte può aspirare è quella di riportare ordine, far sì che la società sopravviva a se stessa e ai suoi impulsi autodistruttivi. Giustizia vuol dire equità, ma la vera equità è possibile solo ripristinando l’ordine iniziale, quello che il crimine ha modificato. Tutto il resto è nel migliore dei casi un tentativo di creare una lettura condivisa della Storia, mentre nel peggiore è vendetta. Con la risoluzione 819 del 16 aprile 1993 dell’Onu la comunità internazionale che noi qui rappresentiamo decreta la fine dell’enclave di Srebrenica. La giustizia doveva essere fatta allora dalla comunità internazionale, quello che è arrivato dopo è un alibi, un tentativo di silenziare una pistola che aveva già sparato. Si arriverà forse un giorno a arrestare i veri carnefici, i pianificatori della strage e i loro zelanti esecutori. Drazen Erdemovic non appartiene a nessuna di queste due categorie. Allora perché ho deciso di condannarlo? (…)



Ho e abbiamo condannato un uomo al carcere per una colpa non sua, per aver deciso di agire come avremmo agito anche noi se ci fossimo trovati al suo posto. Chi di noi avrebbe mai rischiato la vita per mettere in discussione gli ordini ricevuti dall’autorità, per quanto insensati potessero essere? Non occuperà le prime pagine dei giornali, non attirerà l’attenzione della comunità internazionale, ma con questa sentenza abbiamo mandato un messaggio forte e inequivocabile a chiunque si trovasse lì quel giorno. A Srebrenica l’unico modo per restare innocenti era morire“. (tratto da Come fossi solo di Marco Magini, Giunti editore).

A Srebrenica tra il 12 e il 16 luglio del 1995 vennero uccisi circa 10mila musulmani bosniaci. Per non dimenticarli. Per non dimenticare che ognuno di noi avrebbe potuto essere Drazen. Perché non succeda mai più.