Commentando un intervento di papa Francesco, Federico Pichetto su queste pagine si era espresso contro le crociate. Mons. Luigi Negri lo ha accusato di essere “succube del laicismo dominante”. Pubblichiamo la lettera che F. Pichetto ha inviato al vescovo di Ferrara.
Carissima Eccellenza,
circa una settimana fa Lei mi ha fatto l’onore di scrivere per puntualizzare un mio articolo che, commentando una frase del Papa, affrontava il tema delle Crociate. Sono rimasto molto colpito dalla Sua posizione e, durante questa settimana di silenzio, mi sono umilmente chiesto che cosa può generare un giudizio così libero e indipendente su un tema che per la stragrande maggioranza delle persone è chiuso e archiviato.
Non ho potuto fare a meno di pensare a cosa Lei, e la sua generazione, avete rappresentato per me, e per tanti miei amici, quando nel passato ci avete spinto a riflettere in maniera critica su temi come il Risorgimento, il caso Galilei, l’Inquisizione. Ad un certo punto ho dovuto ammettere che ciò che genera un giudizio come il Suo sulle grandi questioni della storia e del presente è solo un incontro, l’incontro con Gesù Cristo. Proprio per questo mi sono domandato, allora, che cosa potesse oggi cambiare il giudizio di molta gente su problemi spinosi e cruciali che travalicano il campo storico e giungono direttamente a inficiare il presente: ho pensato al problema dell’amore per sempre, alla posizione più umana da tenere rispetto al proprio orientamento sessuale o rispetto al desiderio che una donna può avere di essere madre.
Mi sono chiesto anche che cosa possa permettere ad un uomo o ad una donna del mio tempo di non soccombere dinnanzi al dolore, al male, al tradimento e mi sono ancora una volta dovuto rispondere, guardando la mia povera esperienza di uomo, che solo l’incontro con Cristo, l’incontro col Divino, può seriamente salvare e cambiare l’umano.
Il problema del cambiamento, infatti, non riguarda solo una certa categoria di persone, ma riguarda anzitutto me: che cosa può davvero cambiare la mia vita? Che cosa può cambiare il modo di guardarmi, di giudicare, di voler bene alle persone che mi stanno più a cuore? Per me è sempre una grande sorpresa scoprire quanto male io possa fare alle persone che mi stanno vicino: quando ero piccolo, infatti, sapevo che il male esisteva, da giovane – poi – l’ho spesso giudicato e combattuto negli altri, adesso invece – da quasi adulto – non posso fare a meno che sentirlo pulsare dentro di me. È come se la vita mi avesse portato per mano a vedere il vero problema: che qualcosa mi cambi, che qualcosa mi salvi.
Mi fa impressione, a questo proposito, rileggere la vita di Antonio del deserto scritta da Atanasio: quell’uomo aveva così tanto la percezione del proprio male che è andato nel deserto per combatterlo, per guardarlo in faccia. Sono questi gli uomini che hanno fatto la storia, uomini che hanno combattuto non grandi battaglie sociali o etiche, ma uomini che hanno anzitutto combattuto la grande battaglia che si gioca dentro il cuore di ognuno di noi. Essi non sono degli spiritualisti o degli ignavi, sono i nostri Padri. Purtroppo il nostro tempo ha dimenticato tutto questo e si è fatto portatore di un’idea di civiltà che possa, serenamente, fare a meno di Dio. Noi, in questo contesto così pervicacemente testardo, potremmo prendere le armi per liberare la Terra Santa, difendere a spada tratta leggi e istituti millenari, ma non potremmo mai cambiare il cuore – e la ragione – dei nostri fratelli uomini.
Dobbiamo essere sinceri: questo è un compito e un dono possibile soltanto a Dio. Ma, allora, le Crociate sono inutili, le Veglie sono perdite di tempo e le grandi battaglie civili del recente passato sono da derubricare come “errori”? Assolutamente no. Noi abbiamo bisogno di uomini che rispondano alle sfide del nostro tempo provando, come possono, a intervenire nel merito delle grandi questioni che animano il dibattito culturale contemporaneo. Questo intervento, però, non può che avvenire nella Verità, altrimenti cessa di essere una forma di Carità e diventa la pura difesa di un sistema che – da solo – non potrà mai garantire la felicità ai nostri figli e ad ogni uomo.
La Verità, dentro cui tutto deve avvenire, è la consapevolezza di che cos’è che cambia davvero l’Io di un uomo. Se uno è certo che solo Cristo cambia, allora il proprio modo di porsi sarà dettato anzitutto dall’ansia che l’altro (chiunque esso sia) incontri Cristo e che la sua storia possa incrociare quella del Risorto, certo che – come ci ha insegnato autorevolmente il Concilio Vaticano II – non spetta allo stato tutelare la Verità: il compito di ogni stato, infatti, è la promozione della libertà nell’ambito di una razionalità aperta che permetta a tutte le esperienze umane di incontrarsi e di dialogare nella ricerca del bene di tutti e non del capriccio di qualcuno. A ben vedere, è questo che è richiesto ad ogni papà e mamma verso il proprio figlio, è questo che è richiesto ad ogni comunità cristiana nei confronti dei propri battezzati, è questo che è richiesto a me per “imparare ad imparare da tutti”. Solo un presente, solo una Presenza, fa fiorire seriamente la mia umanità.
Cultura, carità e missione non sono un programma antropologico o associativo, sono le dimensioni di una vita che sboccia quando è toccata dall’incontro con Cristo. Per questo pretendere, oggi, che queste dimensioni siano vissute senza l’incontro con il Risorto significa ridurre il cristianesimo ad un patrimonio di civiltà che non diventerà mai vivo, attuale presente se non passando per la carne, la ragione e l’affezione, di un singolo Io.
Come è possibile che un giudizio come il Suo sulle Crociate, allora, diventi mio? C’è una sola strada: che io incontri oggi qualcosa che ridesta in me la stessa passione al Vero, al Buono e al Bello che ha condotto tanti – seguendo con abnegazione e sacrificio don Giussani – a costruire l’inizio di qualcosa di nuovo. Seguire Cristo, dunque, vuol dire per me seguirlo ora, nella docilità alle persone che Egli ha posto come irriducibili pietre di paragone e che, proprio per questo, ci danno terribilmente fastidio. In questo senso non posso non tener conto, nel mio giudizio sulle Crociate, di quanto il Papa Giovanni Paolo II – oggi santo – fece nel marzo del 2000 quando chiese perdono per le “colpe commesse con comportamenti contro l’amore, la pace, i diritti dei popoli, il rispetto delle culture e delle religioni”. Le Crociate, qualunque ne sia stata la genesi storica, sono risultate agli uomini del nostro tempo una forma di contro-testimonianza che oggi non va difesa a tutti i costi, ma che va riconosciuta – come ebbe a dire in quell’occasione don Giussani – per affermare un’ultima inesorabile positività: quella positività che ci fa dire che la Chiesa è libera anche dal proprio male perché, più grande del male, è Cristo.
A me spiace se nel mio articolo sono risultato sbrigativo o “corrotto” dal laicismo: ci sono persone che per tutta la vita hanno studiato le Crociate e a cui io non posso dare nulla, se non un’ultima – intima – certezza, quella di non temere di affermare che gli uomini di Chiesa hanno sbagliato perché tutti noi, in forza dell’incontro con Cristo, siamo liberi anche dal nostro male. Ed è di questo che noi andiamo fieri: non delle opere dei nostri Lari e dei nostri Penati, ma del fatto che Egli – Gesù Cristo – ha vinto e, vincendo, ha avuto pietà del nostro niente che magari, per un ragazzino di quindici anni, può volere anche semplicemente dire l’incapacità di dire con verità “ti amo” alla propria compagna di banco. Anche di questo si occupa Cristo. Anche da questo Egli ci libera.
Che bello averle scritto, Eccellenza. Suo devoto in Cristo,
don Federico Pichetto