“Se si insegnasse la bellezza alla gente, la si fornirebbe di un’arma contro la rassegnazione, la paura e l’omertà. All’esistenza di orrendi palazzi sorti all’improvviso, con tutto il loro squallore, da operazioni speculative, ci si abitua con pronta facilità, si mettono le tendine alle finestre, le piante sul davanzale, e presto ci si dimentica di come erano quei luoghi prima, ed ogni cosa, per il solo fatto che è così, pare dover essere così da sempre e per sempre. È per questo che bisognerebbe educare la gente alla bellezza: perché in uomini e donne non si insinui più l’abitudine e la rassegnazione ma rimangano sempre vivi la curiosità e lo stupore“.
Questa frase di Peppino Impastato, ucciso dalla mafia a Partinico (Palermo), in un finto incidente, il 9 maggio 1978, è stata portata agli onori del grande pubblico dal monologo sulla bellezza che Luca Zingaretti ha recitato all’ultimo Festival di Sanremo.
Per la verità questa scritta da molti anni è impressa sullo scalone centrale del Liceo classico Vittorio Emanuele II di Palermo e da anni accompagna, forse in modo meno appariscente, ma speriamo più efficace, l’ingresso in aula di migliaia di studenti.
Questo elogio della bellezza, per altro riportato anche nel film di Marco Tullio Giordana I cento passi sulla vita e il sacrificio del giovane giornalista e scrittore palermitano, aiutano a dare un quadro di maggiore completezza alla figura di un eroe della lotta alla mafia che per molti anni è stato ignorato e dimenticato, nel vano tentativo di rimuovere il valore del suo sacrificio.
Nel 1978 la lotta alla mafia non aveva il clamore e il rispetto di oggi e chi, come Impastato, in un piccolo comune del palermitano, decideva di mettersi contro i mafiosi locali non poteva contare su nulla e su nessuno, anzi aveva contro anche i familiari. Impastato, con i modestissimi mezzi di una radio locale e con l’ardore di chi sa di combattere una causa giusta, andò incontro alla morte, senza poter godere nemmeno degli onori che oggi si tributano a chi da essa viene ucciso.
Il suo corpo fu fatto trovare sui binari della ferrovia Palermo-Trapani, riuscendo ad accreditare la folle tesi che Peppino stesse confezionando un ordigno esplosivo. Ciò accadde il 9 maggio del 1978 quando tutta l’opinione pubblica italiana – e non solo – era incollata ai televisori per tentare di comprendere qualcosa del rapimento di Aldo Moro.
L’operazione mafiosa riuscì in pieno e di Impastato, della sua azione e della sua memoria, si persero le tracce. Si deve al film di Giordana il recupero di questa figura, per altro molto diversa da quella di magistrati e poliziotti uccisi negli anni successivi, e il suo avvicinamento alle generazioni più giovani che hanno visto in Peppino morto a trent’anni un personaggio dalla condizione molto simile alla loro.
Oggi Peppino Impastato rischia di essere ucciso una seconda volta dalla burocrazia. Alcuni anni fa fu deciso, per l’impegno dei familiari e del fratello, di fare del casolare ove fu effettivamente ucciso un luogo di memoria e di riflessione della lotta alla mafia. Lodevole iniziativa che da anni attende il compimento e che il 9 maggio di ogni anno sembra raggiungere l’obiettivo finale, per poi allontanarsene nei mesi successivi. Quest’anno l’impegno è stato sancito dalla presenza alle celebrazioni del presidente della Regione, Rosario Crocetta. Vedremo.
Intanto la memoria di Peppino Impastato è un punto fermo per quanti, soprattutto nelle scuole e tra i giovani, credono che la formazione delle persone sia il primo punto di non ritorno per una lotta ad una mentalità, quella mafiosa, che può essere definitivamente sconfitta solo con l’affermazione di un’altra mentalità.
Facciamo affidamento anche sugli studenti di oggi e di domani che ogni giorno salendo le scale del liceo classico Vittorio Emanuele II di Palermo potranno dare una sbirciata all’appello alla bellezza che Peppino lanciò tanti anni fa e che mantiene ancora oggi tutta la sua freschezza e la sua attualità.
Peppino Impastato era convinto dell’importanza dell’educazione e della educazione alla bellezza, “perché in uomini e donne non si insinui più l’abitudine e la rassegnazione ma rimangano sempre vivi la curiosità e lo stupore”. Di tutto ciò abbiamo tutti bisogno, anche nella lotta per combattere la mafia.