Se prendiamo solo un po’ le distanze dal dibattito dominante in Italia e non solo, se proviamo a guardare all’Europa da un punto di vista esterno, come quello ad esempio di chi ci osserva da altri continenti, possiamo vedere quanto grande e importante sia la costruzione europea. E forse anche possiamo vedere che non abbiamo bisogno di “meno Europa”, ma di un’Europa diversa, forse anche, di “più Europa”.



Capisco che questa sia ormai diventata un’affermazione sconveniente, quasi un tabù. Ma forse proprio per questo è utile rammentare alcuni dati di fatto.

1. L’economia dell’Unione europea è una delle principali economie del mondo. 

La recente pubblicazione dei dati aggiornati dell’International Comparison Program della Banca mondiale ha fatto scalpore, perché ha fatto rilevare un anticipo nel sorpasso dell’economia cinese su quella degli Usa. Dagli stessi dati emerge che il Pil dell’Ue misurato a parità di potere d’acquisto ha la quota maggioritaria del Pil mondiale (18,4% contro il 17,1% degli Usa e il 14,9% della Cina). Una Ue che sapesse presentarsi unita avrebbe dunque il peso geo-economico di chi si contende con pochissimi altri il primato di economia più grande del globo. 



2. Un’Unione europea forte è fondamentale per una politica economica incisiva.

Rispetto alla recente e perdurante crisi economico-finanziaria, accanto alla politica monetaria, appannaggio della Bce e fatta di immissioni di liquidità, ma anche di annunci con efficacia reale, si può pensare ad almeno altri due canali attraverso i quali agire: a. interventi di politica fiscale, almeno in una certa misura redistributivi; b. una più efficace e condivisa regolazione dei mercati finanziari.

Sono canali utilizzati in altri contesti, ad esempio negli Usa, da istituzioni dotate di un forte mandato di rappresentanza politica, di una forte legittimazione democratica. Perché di questi hanno bisogno per poter essere accolte. Più Europa potrebbe voler dire, dunque, anche trovare nella legittimazione democratica la forza per interventi più incisivi contro la crisi.



3. Un’Unione europea forte è essenziale anche per altre politiche.

Considerazioni analoghe a quelle fatte sopra sulla politica economica si potrebbero fare rispetto ad altri importanti ambiti di azione potenziale delle istituzioni europee. Si pensi alla sicurezza interna, alla quale gioverebbe molto un sistema integrato che superi la mera cooperazione tra polizie e giurisdizioni; alla sicurezza esterna, drammaticamente di attualità per i paesi che hanno coste che si affacciano sul Mediterraneo e non solo; all’azione strategica sullo scenario globale.

In tutti questi ambiti avere istituzioni europee più forti, con una più immediata legittimazione democratica, fino addirittura al recupero del sogno dell’unità politica di alcuni dei padri dell’Europa moderna, consentirebbe un decisivo salto di qualità.

Non so quanto una visione come questa sia oggi condivisa. Certamente bisogna riconoscere che procedere nel percorso dell’integrazione non ha solo vantaggi. E chi non considera prevalenti questi vantaggi non lo fa (o non lo fa solo) per irrazionalità. 

Nella costruzione europea c’è senz’altro un contrasto forte tra incentivi individuali e di breve periodo e benessere collettivo di lungo; tra interessi nazionali e vantaggi su scala continentale.

Nelle titubanze di oggi credo però ci sia, soprattutto, un grande ruolo per la paura. La paura di fidarsi degli altri, di fronteggiare l’ignoto, ma anche dei rischi impliciti nel cedere sovranità. Una paura che chi aveva vissuto la tragedia del conflitto mondiale e lavorava per la ricostruzione di un’Europa in macerie sapeva forse affrontare meglio di quanto sappiamo fare noi oggi.

La visione antropologica di cui siamo portatori nella civiltà europea sottolinea il pericolo della paura come una tentazione pericolosa e identifica nella speranza, e nel coraggio da essa nutrito, una virtù importantissima. È vero nell’esperienza cristiana, per la quale la certezza di essere destinati al bene edifica la persona. È vero anche per le radici laiche della cultura europea; ad esempio per quelle della Grecia classica, che esalta la virtù del coraggio.

Credo che essere realisti oggi non significhi assumere posizioni ciniche e distaccate, ma scegliere l’ideale e i valori. Scegliere di far prevalere il coraggio e la fiducia sulla paura. 

Scegliere il cuore. Non quello di un romanticismo superficiale; quello del suo significato biblico che lo vede come sede di una sapienza a 360 gradi, che sa coniugare l’intelletto con le emozioni ed è aperto con coraggio al futuro. Un cuore che sappia prevalere sulla “pancia” della paura e delle paure; un cuore che sappia riprendere il sogno della costruzione europea. Di un’Europa forte, che sa presentarsi unita e riprendere un ruolo di guida nei processi globali.

Coraggio, valori, ideali, cuore. Forse per alcuni suonano come concetti fuori moda, che per giunta stridono se richiamati da un economista. Sono però convinto non solo del loro valore in assoluto, ma, proprio da economista, del fatto che farsi ispirare da essi possa produrre effetti reali. Tangibili. In particolare per una costruzione europea che si trova oggi su un crinale deciso che separa il disastro dello sgretolamento dal possibile compimento dell’ideale di un’Europa unita. È tempo di guardare con coraggio ad un’Europa migliore senza farsi vincere dalla paura e dal falso realismo di chi nel nome del “possibile” sacrifica l’ideale e la capacità di corrispondere al desiderio di felicità che sta nel cuore dell’uomo.