L’uso (e l’abuso) del termine “Tre Russie” nella pubblicistica e nella comunicazione di massa di oggi induce a proporre alcune riflessioni. Non hanno ad esempio niente a che vedere col significato storico del termine, le tre Russie della molto propagandata e discussa mostra veneziana dedicata all’arte russa di varie epoche e tendenze politiche. Altri analoghi esempi si trovano facilmente in rete. Le “Tre Russie” hanno significato storico e politico ben preciso. Fu lo zar Aleksej Michajlovic (il secondo dei Romanov) che, a metà Seicento, introdusse nella sua titolatura ufficiale la definizione di “zar della Russia Grande, Piccola e Bianca”: ciò avvenne dopo che l’etmano ucraino Bohdan Chmel’nyc’kyj, abbandonato dagli alleati tatari e svedesi, conscio che gli eserciti polacchi minacciavano di distruggere l’entità statale autonoma che aveva creato nel 1648, chiese “protezione dell’alto braccio dello zar” con un accordo (Perejàslav, 1654) che fu interpretato in modo assai diverso dalle due parti: l’etmano dei cosacchi del Dnepr (da non confondere con i cosacchi del Don, ben noti dalla letteratura russa) lo intendeva come un “contratto” da cui le due parti potevano recedere in caso di “insoddisfazione”; lo zar lo intendeva come una sottomissione perpetua. Infatti, allorché nel 1708 l’etmano Ivan Mazepa cercò di sfuggire all’abbraccio mortale dello zar Pietro I alleandosi col re di Svezia, la mossa politica, machiavellicamente realistica di Mazepa e dei suoi Cosacchi divenne simbolo imperituro di diabolico tradimento e il “mazepinstvo separatista”, epiteto infamante per ogni tentativo indipendentista e libertario dell’Ucraina.
Carlo XII di Svezia e Mazepa vennero sconfitti nella famosa battaglia di Poltava (1709), l’unità delle Tre Russie si consolidò a seguito dell’abile, quanto repressiva politica degli imperatori russi. Le “Tre Russie” sono quindi concetto originariamente storico e geografico, divenuto prettamente politico dal Seicento in poi. L’autocrazia zarista, da Caterina II a Nicola II, si autoidentificò in un concetto sacralizzato della Russia “una e trina”, che oggi si può correttamente definire come imperialismo colonialista (il politically correct prevede opportune distinzioni fra varie tipologie di imperialismo e colonialismo, ma la sostanza non cambia molto).
Le “Tre Russie” rappresentano oggi la Russia putiniana, la Bielorussia lukašenkiana e l’Ucraina (non metto un aggettivo, visto che solo dal 25 maggio è stato eletto democraticamente il nuovo presidente). Lasciamo per un’altra eventuale discussione la seconda, concentriamoci su Russia e Ucraina. Lo “scippo” della Crimea da parte di Putin ha messo in evidenza quanto ancora sia attuale la concezione della Russia “una e trina” di memoria zarista (e staliniana: anche qui servirebbero gli opportuni “distinguo”, ma la continuità non si può ignorare). Non a caso, in un discorso alla Duma Putin ripercorreva non solo la storia della conquista della Crimea da parte di Caterina II (1783), ma del battesimo del principe di Kyiv Vladimiro a Cherson nel 988.
L’Ucraina è dunque terra di memoria contestata, memoria ricostruita da Putin nel segno dell’appropriazione della “Piccola Russia” da parte della “Grande Russia”, delle tradizioni cristiane della prima metropolia centrata a Kyiv (Mosca non esisteva proprio), appropriazione delle terre e della storia cosacca, della lingua ucraina proibita da molti decreti fra XVIII e XX secolo.
Il termine “Grande Russia” ha significato geografico e politico preciso, ma gode anche di una connotazione positiva legata all’idea di “grande potenza”. Molto più complesso è il significato di “Piccola Russia”. Originariamente indicava in greco la metropolia di Kyiv (X-XII secolo). Nel XIV secolo indicava il principato di Galizia e Volinia, un’entità politica che può essere considerata secondo (dopo Kyiv) nucleo storico indipendente ucraino (allora fu fondata Leopoli, con tutto ciò che significa). Nel XVII secolo indicava l’Etmanato autonomo dei cosacchi, prima formazione “proto-statale” ucraina, definita dallo stesso Chmel’nyc’kyj “Granducato di Kyiv”.
Nel Settecento “Piccola Russia” divenne semplice provincia omonima dell’Impero russo, amministrata come tutte le altre province da Pietroburgo. Sinonimo di sottomissione all’impero, di assimilazione della cultura e lingua ucraina alla lingua e cultura dominante russa, il termine “piccolo russo” ha ricevuto una connotazione decisamente negativa in epoca romantica e nei movimenti “risorgimentali” dell’Europa orientale, che hanno coinvolto anche l’Ucraina.
Da navigato e astutissimo leader politico di una nazione che ha perso l’impero e desidera ritrovarlo (i dati di gradimento vanno sul 65%), Putin non usa il termine “Piccola Russia”. Tuttavia, la propaganda russa, che oscura ogni altra fonte d’informazione, agisce e scrive secondo le forme e le idee che corrispondono perfettamente all’antica titolatura del seicentesco zar Alessio, e dei creatori del “grande” Impero russo, da Pietro I a Caterina II, e fino a “zar Putin”.