In tempi di disordine e di disorientamento complessivo leggere l’ultimo libro di G. Sapelli (Dove va il mondo? Per una storia mondiale del presente, Guerini 2014) non aiuta a sentirsi meglio. Si tratta di un esame veloce e spietato delle linee di tendenza economiche e geopolitiche in corso nell’Occidente e nel mondo negli ultimi venticinque anni (dalla Caduta del Muro fino alla crisi finanziaria mondiale e ad oggi) che disorienta e fa barcollare il lettore. E lo fa preoccupare. 



Non è una lettura rassicurante, perché l’analisi del caos non può esserlo. Però è una lettura che fa sentire più consapevoli delle dinamiche in cui collocare le esperienze che ciascuno vive nel presente. Elargisce il piacere di essere riusciti ad unire i puntini e a tracciare un disegno in cui collocare tutto ciò che sperimentiamo nel presente, dai prezzi del supermercato alla crisi ucraina. E che, senza profetizzare nulla, fornisce una serie di elementi per riflettere su ciò che accadrà nel prossimo futuro in Italia, in Europa, nell’Occidente e nel mondo. Forse è una lettura liberatoria perché alza veli e allarga gli orizzonti di chi vive la crisi italiana come una vicenda locale. 



Potrebbe essere una lettura rassicurante se il disegno che ne uscisse, dopo avere unito i puntini, fosse un disegno armonico, con linee di tendenza precise e un numero limitato di attori e di variabili: a prescindere dal fatto che queste variabili siano destinate ad influenzare la nostra vita in modo positivo o negativo. E ci fosse una possibilità di controllare e guidare queste variabili.

In realtà il disegno che traccia Sapelli nella sua analisi è una fenomenologia del caos generato dalla perdita di punti di riferimento politici stabili a livello mondiale; e in secondo luogo generato da una serie di trasformazioni economiche (finanziarizzazione della economia mondiale; evoluzione delle tecniche di produzione e del commercio dell’energia; cambiamenti dei trend del commercio mondiale; diffusione del liberismo e delle politiche monetariste come nuova forma di pensiero unico) che hanno già fatto definitivamente scomparire gli assetti politici, commerciali e produttivi del XX secolo. E a cui si è sostituito un mondo privo di centro, dove le vicende politiche economiche e militari, pur influenzandosi, procedono in parallelo, per aree regionali e che Sapelli giustamente definisce un mondo “frattalico”.



In questo senso è una lettura da raccomandare tanto a chi sia convinto per abitudine ideologica a ritenere che, dopo una fase di purificazione dovuta ad austerità e rigore, il mondo vada comunque verso migliori sorti e progressive (non molti ormai); quanto a chi ritiene che, dopo la fine dello stato e della sovranità popolare, il mondo sia retto da oscuri circoli finanziari e mondialisti che tramano nell’ombra per accumulare potere e denaro a discapito dell’individuo e dei popoli. 

Perché il libro di Sapelli ci fa capire che questi circoli, più o meno privati e attivi ci sono, come è normale che ci siano quando si ragiona di interessi di dimensione mondiale. Ma ci fa capire anche che nemmeno questi circoli possono orientare granché e possono soltanto giocare la loro partita in una situazione di scomposizione totale degli equilibri passati. E, per inciso, ci fa capire quanto futili siano le politiche di austerità e rigore per creare le premesse di una nuove fase di crescita mondiale. 

La narrazione di Sapelli non è lineare perché vuole essere sintetica ed essenziale. È il lettore a doversi creare una serie di collegamenti tra i problemi che vengono affrontati e descritti. È piuttosto una narrazione per problemi, dove si colgono i nessi e le interdipendenze di un sistema che vive e si sviluppa per linee oggettive, in cui stati depotenziati, centri di potere privato (economico e finanziario) e organizzazioni internazionali a base mercantile agiscono nel disordine della mondializzazione economica e nel disorientamento della crisi. Ed è, in secondo luogo, una narrazione per cerchi concentrici dove, date le premesse, è facile capire che ciò che succede in Italia non dipende solo da ciò che succede in Europa o nell’Occidente (o in Cina, che dell’Occidente è ormai una articolazione perfettamente integrata), ma anche da ciò che avviene nel Mediterraneo o in aree comunemente ritenute marginali nella storia del mondo. È appunto l’dea del mondo frattalico.

E allora bisogna dire che il Mediterraneo di Sapelli non è il Mediterraneo della sponda nord e della sponda sud. È il Mediterraneo dove i cambiamenti nella produzione del gas di scisto realizzati negli Usa (lo shale gas che chiede i rigassificatori e che sta facendo degli Usa i primi produttori mondiali di energia) pongono le premesse per un ritiro progressivo della presenza americana in Medioriente; è il Mediterraneo in cui si riflette la nuova politica di confronto tra Usa e Russia sugli sbocchi della rispettiva produzione energetica (il libro, guarda caso, è stato scritto ben prima della attuale crisi ucraina e della difesa russa degli sbocchi sui mari caldi di Crimea); è il Mediterraneo privo della presenza politica e militare dell’Europa; è il Mediterraneo dove si affaccia l’ultimo detentore di risorse e materie prime inesplorate e ancora da sfruttare, e cioè l’Africa. 

Il punto è che l’Europa nella lettura di Sapelli non c’è più: non c’è più attraverso le sue vecchie potenze coloniali (Francia o Gran Bretagna), ormai prive di forza per creare nuove e stabili aree di influenza (vedi la crisi libica), e nemmeno c’è come soggetto unitario a guida germanica. 

E infatti il tema che ritorna ciclicamente nella analisi proposta è il tema di una Europa in decadenza: ossia di una Europa che non è più l’Europa degli stati nazionali e nemmeno l’Europa di quell’ibrido incomprensibile che è l’Unione. È semmai un’Europa spaccata al suo interno dai suoi enormi difetti istituzionali e dalla divergenza di interessi delle aree-paese che la compongono.

Per questo nel libro di Sapelli la crisi economica e istituzionale dell’Italia è la crisi della sua marginalizzazione. Che oggi è marginalizzazione tanto rispetto agli Usa quanto rispetto ai cosiddetti partner europei. Semmai è interessante notare che anche per Sapelli – come per altre figure assai diverse tra loro, come R. Prodi o G. Guarino − il futuro dell’Italia sullo scenario europeo può essere solo un futuro costruito attraverso un sistema di alleanze a geometria variabile tra Italia, Francia e Spagna. Nel libro di Sapelli, insoma, si coglie benissimo che, caduto il Muro ed istituzionalizzatasi una Europa divisa tra zone core e zone periferiche, l’Italia è stata lasciata sola dalla ricollocazione degli Usa sullo scenario mondiale (cioè dalla ricollocazione dei rispettivi interessi) e da questa solitudine dipende la sua involuzione, che è involuzione al tempo stesso economica e istituzionale. 

Qui poi la diagnosi di Sapelli è lucidissima. L’Italia è divenuta un paese allo sbando, dove al venir meno delle culture politiche del passato, quella cattolico-democratica e quella comunista, è seguito il deserto delle collusioni tra interessi economici, sempre più traballanti e locali, e poteri pubblici che si reggono sul loro rapporto con questi interessi. E in cui allo sbando politico ha fatto seguito lo sbando istituzionale generato dallo stravolgimento dei rapporti tra i poteri dello stato. Un deserto in cui si intravede solo la figura di un esponente di una di quelle culture, Giorgio Napolitano, a sua volta isolato al Quirinale, che cerca di guidare ciò che resta del paese verso un futuro pesantemente condizionato dalle politiche economiche di austerità e disindebitamento praticate in questi anni.

La possibilità astratta che vede Sapelli è quella di un nuovo grande piano Marshall di investimenti in Italia e Europa che faccia ripartire le attività economiche dopo la fase di recessione imposta dalle politiche di disindebitamento forzato successive alla crisi. Che hanno prodotto nuovo debito e nuove, inaspettate povertà. E che finiranno con l’investire anche la Germania dopo che, come si dice nel libro, vincendo le elezioni e mantenendo questa linea, la Merkel ha condannato l’Europa e, con l’Europa, ha condannato la Germania.

Come dicevo, non è un libro rassicurante. Ma è un libro raro per lucidità e onestà nel proporre diagnosi e valutazioni che in genere, per buona pace di tutti, è bene non far circolare troppo. Lo legga solo chi è davvero curioso. E chi ha voglia di apprezzare il coraggio e la lucidità del suo autore, facendo un bagno di realtà.