Da qualche decennio il grande pubblico filosofico sembra finalmente riconoscere il rilievo dell’opera del pensatore ceco Jan Patocka. Nato nel 1907 a Turnov, nella Boemia settentrionale, Patocka fu allievo di Edmund Husserl, iniziatore del movimento fenomenologico, ed erede della feconda rilettura storico-ermeneutica offertane da Martin Heidegger. Il nome di Patocka rimanda, però, anche all’esperienza del dissenso che ha caratterizzato la sua terra e tutti quei paesi dell’est Europa ricompresi nell’orbita del dominio sovietico all’indomani della seconda guerra mondiale. Le vicende biografiche di questo straordinario protagonista della storia recente investono, pertanto, un’esistenza vissuta nella criticità di un pensiero maldisposto verso qualsiasi forma di oppressione politica. 



L’orizzonte speculativo da cui emerge questo atteggiamento dissidente risale nondimeno alla “scuola” cui egli si era formato e che sembra avere poco a che fare con la riflessione e l’agire politico caratterizzanti soprattutto gli ultimi anni della sua vita: quella fenomenologia di cui Patocka fu brillante interprete già a partire dagli anni 30, allorché si apprestava a raccogliere l’eredità del maestro Husserl. Egli avrebbe quindi potuto incarnare facilmente l’immagine del filosofo assorto nella teoresi, avulso dalla realtà politica del suo tempo. 



D’altronde, l’atteggiamento dissidente costò a Patocka una emarginazione accademica e intellettuale che, iniziata nel 1938 con l’invasione nazista dell’allora Cecoslovacchia, durerà per tutta una vita. Già nell’immediato secondo dopoguerra, difatti, dopo appena tre anni dalla sua entrata in servizio come docente all’Univezita Karlova di Praga, questa proscrizione trovava tristemente seguito con il colpo di stato comunista del 1948 e con il rifiuto da parte del filosofo ceco di omologarsi all’ideologia di regime. 

Così, a parte un breve periodo, coincidente all’incirca con i rivolgimenti storico-politici del 1968 che portarono alla “Primavera di Praga”, a Patocka sarà di fatto negata ogni possibilità ufficiale di svolgere la propria missione di filosofo e pensatore. Costretto infine al pensionamento anticipato nel 1972, egli si dedicherà, negli ultimi anni della sua vita, all’insegnamento clandestino ristretto a pochi intimi e celato allo sguardo di un sistema di potere post-totalitario che in quel periodo sopprimeva indiscriminatamente qualsiasi accenno di resistenza. 



Nel gennaio del 1977, infine, Patocka diventò portavoce di Charta 77, movimento che rivendicava l’adempimento agli impegni (rispetto dei diritti umani, della libertà di espressione e di stampa, ecc.) sottoscritti anche dalle autorità cecoslovacche alla conferenza di Helsinki del 1975. E questo “attivismo” condurrà Patocka alla morte, avvenuta il 13 marzo del 1977 a Praga in seguito ai duri interrogatori della polizia del regime filosovietico diretto da Gustáv Husák.

In vita Patočka riuscì a pubblicare pochissimo, almeno attraverso i canali ufficiali. Il grosso della sua mirabile produzione vedrà invece la luce dapprima nella forma di pubblicazioni clandestine (samizdat) che percorrevano l’alternativa culturale all’egemonia del regime e successivamente, dopo la “Rivoluzione di Velluto” del 1989, nell’edizione completa del suo lascito che è tuttora in corso. Dalla lettura e diffusione di questi testi, tenuti nascosti per anni per preservarli dalla probabile distruzione e dall’oblio, è stato quindi possibile ricostruire il profilo di un pensatore noto nel panorama culturale più che altro per la sua vicenda personale – che certo aveva avuto il merito di scuotere le coscienze non solo ad est, ma anche nel “blocco” occidentale. 

Oltre alle indagini molto più spesso conosciute e agevolmente presentate dalla storiografia, a partire dall’opera fondamentale intitolata Saggi eretici sulla filosofia della storia, è emersa però una ineludibile profondità cui questo pensatore giunge dapprima a un livello preliminarmente teoretico e conoscitivo. Eppure, queste riflessioni non possono considerarsi disincarnate dal significato storico-politico della vita e dell’opera complessiva del filosofo ceco. Al contrario, ne rappresentano l’intelaiatura precipua da cui deriva il fondamento antropologico dell’umano che si dà innanzitutto nella sua storicità e nella sua capacità di prendersi cura dell’anima, preservando la manifestatività dell’essere.

La vicenda umana e conoscitiva di Patočka non può che rendersi riconoscibile, allora, quale vita che si fa pensiero e pensiero che si fa vita; come realizzazione dell’essere per la fine di una esistenza dedicata alla teoresi e compiutasi concretamente, unicamente in una esperienza testimoniale assoluta, allorché il filosofo ceco ha deciso di affrontare consciamente il niente della muta sfida rivolta al pensiero da parte dell’ideologia dominante attraverso quel sacrificio di sé che lo ha condotto alla morte, ma anche alla libertà da tutto.


Prologos organizza il seminario “Jan Patočka: cura dell’anima e mondo naturale” che si terrà venerdì 9 maggio 2014 alle ore 16,30 presso l’ICLeS, via Settembrini 17 in Milano. Interverranno Saverio Alessandro Matrangolo (Archivio Jan Patočka di Praga) e Sante Maletta (Università della Calabria). Introduce Francesca Bonicalzi (Università di Bergamo).