La splendida novella Grigia – scritta da Robert Musil qualche tempo dopo la fine della prima guerra mondiale (che comportò la scomparsa del plurisecolare impero austriaco) e inserita, nel 1924, assieme ad altri due brevi pezzi narrativi: La portoghese e Tonca, nel volume Tre donne – trae ispirazione dal periodo passato dal grande scrittore mitteleuropeo a Palù del Fersina (località montana della Valle dei Mòcheni, in provincia di Trento) durante il 1915, quando Musil era in servizio militare di stanza nel Sudtirolo, impegnato a combattere sul fronte italiano, appartenendo allora il Trentino alla “Kakania” – per usare giusto una nota espressione musiliana – ossia a quell’area geografica dove tutto era austro-ungarico e imperial-regio, all’insegna cioè dell’emblematica cifra: k.u.k. (kaiserlich und königlich).
La vallata colpisce il giovane tenente asburgico non solo per le sue bellezze naturali ma per la sua dimensione incantata/magica (verzaubert) che ha del perturbante/spaesante (unheimlich). Tutto attrae ma al contempo inquieta lo scrittore. Dal paesaggio fiabesco, quasi una sorta di paradisiaco luogo senza tempo e come sospeso fuori dal mondo, alle arcaiche tradizioni dei valligiani. Dalle antiche miniere, che paiono suggerire la ricerca della pietra filosofale, ai costumi delle contadine che attraggono gli sguardi maschili per quel riserbo misto ad una sottile fascinazione che i loro corpi emanano.
Un’identica malìa proverà il protagonista di Grigia (recentemente ripubblicata da Silvy Edizioni): un geologo invitato a recarsi nella Valle del Fersina con una spedizione che intende riattivare le ormai abbandonate miniere d’oro. E non per nulla, credo, Musil ha scelto di chiamarlo Homo (in latino: uomo), volendo indicare con tale nome come egli rappresenti la figura esemplare di un individuo alla ricerca della propria autenticità. Così il viaggio avventuroso in Val dei Mòcheni rappresenta una sorta di iniziazione alla consapevolezza: il distacco da un mondo cittadino effimero ed inautentico per l’immersione in una realtà più vera e genuina, per quanto inquietante. È la ricerca del musiliano Altro Stato (Der andere Zustand) – come giustamente sottolineano Alessandro Fontanari e Massimo Libardi nella loro puntuale e accurata postfazione alla novella –: quella dimensione della vita e dell’essere ormai perduta dal cosiddetto uomo civilizzato; uno stato in cui, scriverà l’autore nel suo capolavoro, L’uomo senza qualità, “l’Io fluisce nel mondo e il mondo rifluisce nell’Io, in cui l’uomo e le cose non stanno più nel rapporto di soggetto-oggetto (…) e i concetti di spazio e di tempo non hanno più valore”.
Interessante è anche il nome di un altro personaggio, marginale ma sino a un certo punto. Parlo dell’uomo d’affari che ha proposto a Homo di recarsi nella valle incantata. Ossia di Mozart Amadeo Hoffingott.
A parte l’appellativo riferentesi al compositore austriaco di musiche paradisiache, è facile cogliere il riferimento all’amore nei confronti di Dio, nel secondo nome, mentre per chi non conosce il tedesco è meno agevole cogliere la sottigliezza di un cognome che, in italiano, potremmo tradurre con: Sperandio. Si tratta dunque di una figura forte di tre nominativi all’insegna del numinoso. Fontanari e Libardi, nella loro ottima disamina, vanno oltre: suggerendo che la divinità tutelare dell’affarista sia Hermes/Mercurio, messaggero degli dei, protettore dei mercanti e psicopompo. E, guarda caso, giusto una fontana abbellita da una statua di Mercurio si trovava all’inizio del Novecento, a Pergine, nello spiazzo da cui Homo intravvede per la prima volta in lontananza la Valle dei Mòcheni.
È quindi topos liminare quanti altri mai la località in cui giunge il protagonista, situandosi essa ai confini di tutta una serie di ambiti: sospesa come appare fra civiltà e natura, mondo reale e suggestione mitica, ambito linguistico tedesco e italiano; fra l’idillio pastorale/agreste e l’arretratezza economica e sociale, infine. “D’altronde – nota Homo/Musil – in questa valle viveva della strana gente. I loro antenati al tempo dei principi vescovi di Trento erano venuti dalla Germania per lavorare nelle miniere, e ancora oggi vivevano incuneati fra gli italiani come una vecchia roccia consumata dal tempo. L’antico modo di vivere l’avevano mezzo conservato e mezzo dimenticato”.
Ma proprio qui sta il fascino di questo luogo che sembra davvero fuori dal mondo e dal tempo, dove Homo si sente particolarmente attratto dalle valligiane: “Così erano queste donne. Avevano le gambe ricoperte da gonne di lana scura con bordure rosse blu o arancio larghe un palmo, e (…) zoccoli intagliati come le piroghe in un pezzo unico. (…) Esse avevano però anche nella gentilezza e nell’amabilità tanta libertà da sconcertare”. Una in particolare lo seduce: Grigia, che, pur essendo sposata diviene ben presto la sua amante. I loro amplessi vengono consumati nei fienili ma, per Homo, di un amore del tutto particolare si tratta: sensuale ma al contempo etereo, erotico però anche estatico, forte di una valenza mistica, quasi.
È una prosa dal respiro poeticissimo quella che descrive l’Altro Stato a cui Homo sembra in procinto d’essere approdato. Ma si tratta di una sensazione illusoria e di una conquista spirituale effimera. Il sortilegio, o l’ubriacatura amorosa, infatti finirà molto in fretta causa il marito di Grigia, il quale, scoperti gli amanti, mette a punto una vendetta che pone fine alla novella e alla vana impresa di Homo, destinato a morire di consunzione sul fondo di una vecchia miniera.