Nella voce dedicata all’Editto di Milano (l’editto promulgato nel 313 dall’imperatore Costantino, che garantiva ai cristiani libertà di culto) l’edizione francese dell’enciclopedia online Wikipedia riferisce che secondo alcune correnti di pensiero moderne all’inizio del IV secolo il cristianesimo sarebbe stato nell’impero romano una realtà marginale: “il paganesimo è una realtà con basi solide all’inizio del IV secolo e il cristianesimo è ancora un fenomeno molto minoritario. (…) I cristiani non rappresentano nel 312 che il 4 o 5% della popolazione totale dell’impero”.
Sarebbe interessante sapere sulla base di quali calcoli si arriva a conclusioni del genere, difficili già per una società moderna, e praticamente impossibili per una società lontana nel tempo, della quale conosciamo in modo nebuloso l’organizzazione economica e men che meno la composizione demografica. La domanda sottesa è evidentemente questa: “Chi l’ha fatto fare a Costantino di emanare un editto di tolleranza, se i cristiani costituivano una realtà così trascurabile e insignificante?”. Si potrebbe rovesciare la domanda e chiederci: “Chi l’ha fatto fare a Diocleziano, una decina di anni prima, di scatenare una persecuzione sanguinosa contro i cristiani, se questi costituivano una realtà così trascurabile e insignificante?”. Parliamo di Diocleziano, perché a questo imperatore è dedicata una biografia da parte di Umberto Roberto, da poco in libreria e presentata da Luciano Canfora sul Corriere della sera.
Siamo spesso inclini a classificare i personaggi della storia in buoni e cattivi, più o meno come usava nelle scuole elementari, quando il capoclasse segnava su un lato della lavagna il nome dei buoni e sull’altro i cattivi, con una riga a separare i due gruppi. Quando ci si avvicina alla realtà però ci si accorge che tra il bianco e il nero ci sono varie tonalità di grigio: e può capitare che si levino voci in favore di personaggi classificati come cattivi o cattivissimi, con l’intenzione di mostrare che in fondo non erano poi così male: la linea di demarcazione fra i due gruppi non è mai così netta.
Nel caso di Diocleziano la collocazione è difficile, e i giudizi antichi e moderni presentano oscillazioni rilevanti. Cecilio Firmiano Lattanzio, un contemporaneo di Costantino, scrisse un opuscolo intitolato “Le morti dei persecutori”, in cui sosteneva che sugli imperatori che perseguitarono i cristiani si abbatté inesorabile la collera divina, portandoli a fini dolorose. Una visione che sembrerà schematica o faziosa, ma ben comprensibile in un personaggio che visse un’epoca dolorosa, vide amici e fratelli nella fede affrontare il martirio, i beni della Chiesa e dei suoi fedeli confiscati, i libri bruciati.
Ai cristiani stessi l’equazione per cui “ostile ai cristiani” equivale a “cattivo” dovette presto apparire semplicistica. Valga il caso di Traiano. Traiano ebbe un atteggiamento ondivago nei confronti dei cristiani, ma in sostanza ne permise la persecuzione: durante il suo impero affrontarono il martirio tra gli altri l’anziano vescovo di Gerusalemme Simeone che vantava legami di parentela con la famiglia di Gesù, e Ignazio vescovo di Antiochia, uno dei personaggi più interessanti e rappresentativi della primitiva letteratura cristiana. Eppure questo non ne offuscò la fama di buon imperatore, e anzi si diffuse ben presto una leggenda (raccolta anche da Dante) secondo cui Traiano avrebbe avuto dopo la morte un trattamento singolare e privilegiato: grazie alle preghiere del papa Gregorio Magno gli sarebbe stato concesso di tornare in vita per qualche momento, giusto il tempo necessario per ricevere il battesimo così da poter accedere al Paradiso, dove appunto Dante lo incontra nel cielo di Giove.
Allora, in luogo della classificazione incerta e precaria tra buoni o cattivi, proporremmo un diverso criterio di lettura dell’operato di Diocleziano: l’aver privilegiato l’ideologia rispetto all’approccio realistico ai problemi. Le sue capacità militari sono fuori discussione, e gli va dato atto di avere ripristinato la stabilità delle frontiere con una serie di campagne vittoriose, ma nei confronti dei gravi problemi sociali e organizzativi che affliggevano l’impero il suo operato appare viziato da un’eccessiva propensione all’ideologia. È ideologica la riorganizzazione dell’impero in quattro parti con una suddivisione del potere e delle responsabilità e la cooptazione di tre imperatori: per funzionare, il sistema della tetrarchia avrebbe avuto bisogno di quattro figure di specchiata fedeltà, disponibili a una collaborazione assidua, prive di ambizioni personali e senza brama di potere: trovare quattro persone del genere non è mai facile, e infatti il sistema tetrarchico entrò in crisi, e si aperse la via ad anni di guerre civili sanguinose, non appena venne meno la figura autorevole e carismatica dell’ideatore.
È ideologico il tentativo di frenare l’inflazione e l’aumento dei prezzi attraverso un calmiere stabilito dall’alto: decreti del genere hanno un’efficacia effimera ed effetti spesso negativi. E infine è ideologica la persecuzione dei cristiani, la più sanguinosa e la più dura, seguita a un periodo di relativa tolleranza e di sostanziale pace. Non sappiamo (perché le fonti antiche sono contraddittorie su questo punto) se Diocleziano accettò a malincuore le insistenti proposte di Galerio o se fu lui stesso a lanciare l’iniziativa negli ultimi anni del suo impero: quel che è certo è che la base del provvedimento fu ideologica: i cristiani non riconoscevano i culti dell’impero, e soprattutto il culto divino dell’imperatore, ma nemmeno ponevano in essere comportamenti ostili o sovversivi: la loro condotta era improntata in sostanza a un atteggiamento lealista e collaboravano con le autorità, nella misura in cui questo non contraddiceva apertamente i fondamenti della loro fede.
Sicuramente il tentativo di estirpare alla radice una presenza che, dall’esterno, poteva apparire eccentrica, o addirittura improntata a superstizione e fanatismo (sono queste le accuse più ricorrenti nelle fonti pagane), creava più problemi di quanti ne risolvesse: anche molti pagani si trovarono a disagio di fronte ai provvedimenti severi o addirittura spietati del potere imperiale, che, anziché creare distensione, fomentavano instabilità e tensioni sociali.
In sostanza, la linea che separa l’operato di Diocleziano da quello di Costantino non è la linea tra cattivi e buoni, ma la linea fra ideologia e realismo: con atteggiamento molto più realista, Costantino si rese conto che era meglio farsi amica e associare una realtà importante e intellettualmente vivace come quella del cristianesimo (e magari anche trovare il modo di ingerirsi direttamente negli affari della Chiesa). Il sostanziale fallimento della politica di Diocleziano è rappresentato dalla sua abdicazione: dopo venti anni di regno Diocleziano, unico nella storia dell’impero romano, rinunciava al potere nel 305, lasciando ai successori il compito di risolvere molti problemi che aveva lasciato aperti.