Bigger than life, direbbero gli anglofoni; il monumentale saggio di Alessandro Celani per i tipi di Aguaplano-Officina del Libro è infatti ben più che una ricognizione accademica e assume i tratti di un’opera-mondo. L’autore, professore di archeologia in diversi istituti italiani e internazionali, lascia presto il recinto disciplinare fatto di aride datazioni e conflitti di attribuzione per accedere ad un linguaggio poetante ricco di fascino ma che non rinuncia al rigore scientifico e filosofico. Al cuore di questo lavoro durato dieci anni – e che dunque non può che essere anche un’autobiografia intellettuale – si pongono l’enigma dello sguardo dinanzi all’arte, l’utopia del significato ricostruito a posteriori dallo storico, l’estetica del frammento e della rovina come contrappunto della totalità.
Certo non mancano le questioni specialistiche, i confronti e le ricostruzioni che attengono ad un periodo fondante dell’intera civiltà occidentale, la tarda repubblica romana attraversata da conflitti sociali e trasformazioni politiche. In questo contesto si inserisce la pratica scultorea, nella rielaborazione e attualizzazione di codici e linguaggi espressivi provenienti dall’Egeo: i ritratti, gli eroi, gli atleti, le gentes, ma anche le donne nella loro tensione fra dimensione domestica e dimensione pubblica, gli schiavi, i migranti. Celani guida il lettore attraverso una folla di protagonisti senza mai indulgere in tecnicismi sterili, ma al contario svolgendo un discorso di rara ricchezza letteraria e vivificando la storia di uno sguardo aperto, un orizzonte capace di stabilire connessioni ardite ma puntuali con discipline ed epoche differenti.
Non stupirà, dunque, imbattersi in passi di scrittori cubani post-coloniali o in maestri della dissonanza moderna come Bacon o Warhol, così come in metafore e interpretazioni “eretiche”, che tuttavia spianano la strada ad un rinnovamento dell’archeologia e della storiografia artistica. Nel suo confronto serrato con i principali punti dell’agenda internazionale in tema di estetica, sociologia dell’immagine e storia delle idee, Celani fa confluire una quantità di spunti, riflessioni e argomenti interdisciplinari tali da far emergere la complessità di un panorama storico e culturale fatto di stili e tecniche ma soprattutto di individui e comunità. Macro-storia e micro-storia, nel solco del metodo seguito da autori come de Certeau, Baxandall o Stoichita, si compenetrano fino a rivelare verità molteplici, parziali quando non contraddittorie, ma certamente fertili.
Come un fiume sotterraneo scorre fra le pagine l’istanza autobiografica ed esistenziale, la volontà di disseppellire, insieme alle vestigia dell’antico, frammenti di sé e accedere ad una dimensione pre-linguistica, allo sguardo ingenuo del bambino che si posa per la prima volta su marmi impolverati. Ciò che vivifica la scrittura di Celani, più che un innegabile talento letterario e poetico, è proprio questa tensione fra filologia e ingenuità, fra erudizione e spontanea adesione ad un ideale archetipico di bellezza che, in fondo, sta tutto nel nostro stesso sguardo e nella memoria collettiva tramandata da secoli di classicità ideale e idealizzata.
Perturbante e familiare proprio come i frammenti di una statua antica, questa scrittura non teme la contraddizione e sfida apertamente le regole del gioco accademico, le fa implodere dall’alto di un’erudizione profondissima ed estesa e le ricostruisce pezzo per pezzo.
Necessita di menzione, inoltre, la stupenda fattura del volume in quanto oggetto, la preziosità della carta scelta in virtù della fragranza e la rilegatura; l’apparato iconografico, composto per lo più di scatti di Celani stesso, ammalia lo sguardo con le profondità dei neri, le gradazioni dei grigi, i tagli prospettici e i dettagli minuti grazie ai quali suscitare una certa inquietudine naturale e stabilire un contatto sensoriale, prima ancora che intellettuale, con capolavori fuori e dentro del tempo.
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Alessandro Celani, “Una certa inquietudine naturale. Sculture ellenistiche tra senso e significato”, Aguaplano, 2013