Riportiamo qui a seguito un brano tratto dal libro di Carlo Bellieni “La cultura dello scarto” (Ed Paoline, pag 112). Il testo documenta attentamente come negli ultimi 50 anni si sia formato il fenomeno prima sconosciuto del “rifiuto”, come la società postmoderna abbia improvvisamente deciso che esistono cose utili e cose inutili, concetto dirompente culturalmente ed ecologicamente, anche perché il passo dal sostenere che esistano cose inutili – oltretutto spesso costruite per diventarlo in breve tempo – al sostenere che esistano persone inutili purtroppo si è rivelato breve.



Il discorso ecologico oggi non può essere disgiunto dal concetto utilitaristico che produce e scarta e accetta solo quello (o colui) che, spesso in maniera miope, reputa essere “utile”, privandosi di grandi risorse.

“Dove erano le discariche alla metà del secolo scorso? Perché è ovvio: da qualche parte i rifiuti dovevano buttarli, non potevano restare montagne di cartacce, di spazzatura bruciante e fumosa, di plastiche malfamate!



A meno che i rifiuti non ci fossero proprio…

Come è possibile? Nell’epoca in cui il mercato non la faceva da padrone e la gente comprava la roba perché ne aveva necessità e non perché indotta dalla pubblicità o dall’ansia amara di ostentare più del vicino di casa, la roba non diventava un rifiuto, si riusava. Non c’era da inventare scariche, discariche, riciclaggi, impianti vari: la sedia rotta si aggiustava e quando non si poteva aggiustare era usata per alimentare il fuoco. E così via…

Poi è successo qualcosa e sono nati i rifiuti. Come un asteroide caduto sulla terra, come un’invasione di marziani, come una mutazione genetica dovuta allo scoppio di una centrale termonucleare: è successo improvvisamente qualcosa. Se mi chiedete cosa è successo, lo capiremo nelle prossime pagine. Ma qualcosa deve essere accaduto, se una cosa mostruosa e mortifera che prima non esisteva ora è esplosa e si sta mangiando la terra!



E sono diventati nostri compagni di vita, i sacchetti della spazzatura. È più normale uscire di casa con lo scatolone o con il bianco sacco della spesa riusato per metterci le bottiglie da buttare, che uscire con il cane!

Sono un amico, una convenzione, una consuetudine, una nostra appendice mentale, tanto che ci sembrano normali!

Cinquant’anni fa erano pochi, ma presenti: arrivava lo « spazzino » e suonava la tromba all’ingresso del condominio; allora si usciva e si metteva fuori « il secchio »; lo spazzino col suo grosso sacco sulle spalle, simile allo spazzacamino di Mary Poppins, saliva le scale (l’ascensore era ancora una rarità) e svuotava i secchi, rivestiti da uno strato di carta di giornale; poi passava al condominio seguente. Un secchio al giorno per famiglia; oggi sacchetti e scatoloni tutte le mattine fuori di ogni casa, ogni condominio, ogni negozio per i quali non basta più lo spazzino, ma i camion, quelli che arraffano con le mostruose pinze metalliche gli enormi cassonetti (altro nome ormai diventato familiare) e li digeriscono a centinaia.

Dal nulla.

Dal nulla è nata la spazzatura, l’immondizia, la « monnezza ». Abbiamo inventato noi i rifiuti, lo «scarto ». La nostra generazione ha moltiplicato quello che avevano fatto mamma e papà, e che i nonni non conoscevano: inventare un prodotto prima ignoto. Il rifiuto”.