Torino 1901. Il 6 aprile era un sabato santo, nasceva Pier Giorgio Frassati all’inizio del secolo tragicamente marchiato da terribili totalitarismi e dalla barbarie di ben due conflitti mondiali.

Possiamo dire che sappiamo ormai tutto di Frassati, della sua vita di fede incandescente, della sua carità eroica dentro la vita da studente, della sua passione per la montagna, della sua ardente pietà eucaristica e mariana, unita ad un carattere esuberante che attirava intorno a lui decine e decine di compagni? È da una personalità così forte e buona che nacque la famosa “Compagnia dei tipi loschi” che è oggi un vero e proprio movimento ecclesiale con sede a San Benedetto del Tronto; un movimento di giovani che intendono imitare in tutto il tipo umano e cristiano di Pier Giorgio.



Forse un po’ di meno sappiamo di questo studente un po’ scavezzacollo che, cresciuto nella rigida educazione sabauda, in una casa dove non era ammesso disubbidire al minimo ordine, era anche un ragazzo che aveva profondi interessi culturali e sociali, un giovane incantato dalla Bellezza dell’arte, del teatro, dei fiori e della montagna. Ma il centro di una personalità così ricca era Cristo. Ci proviamo in poche righe a presentare il ritratto di un giovane così normale e così straordinario.



Il suo cammino di fede inizia propriamente con i Gesuiti dell’Istituto sociale di Torino. Fu padre Lombardi ad avviare Pier Giorgio alla comunione quotidiana; da allora l’eucarestia rappresentò per Frassati il suo quotidiano punto di riferimento e di apertura a tutti i suoi interessi. Era iscritto alla Lega Eucaristica, alla Compagnia del SS. Sacramento, alla Congregazione Mariana dei Gesuiti. Le sue giornate erano segnate dal rosario quotidiano, dalle opere di misericordia, dalla visita pressoché quiotidiana ai poveri, agli ammalati e ai carcerati. Sempre all’interno dell’Istituto sociale Pier Giorgio si iscrive alla San Vincenzo posta sotto il patrocinio del Cottolengo.



Vediamo Pier Giorgio portare nei tuguri fatiscenti dell’antica Torino biancheria, abiti, coperte, medicine, legna, carbone per attutire i rigori del freddo inverno torinese e cercare lavoro per i disoccupati, ma soprattutto lo vediamo portare la sua testimanianza di Cristo, vera risposta al bisogno dell’uomo e tutto ciò dentro una compagnia di altri studenti come lui.

Nel 1918 l’epidemia denominata spagnola miete vittime in tutta la città. Pier Giorgio, senza temere il contagio, si prodiga a visitare i malati nelle loro squallide dimore, persone divorate dalla febbre, lo stesso ritmo vive negli anni in cui la famiglia si trasferisce a Berlino, seguendo il padre, nominato da Giolitti ambasciatore dell’Italia.

Tutto questo fare carità in modo apparentemente frenetico scorre tuttavia nella normalità di uno studente che dal 1919 al 1925, superata la maturità, frequenta il Politecnico di Torino con una precisa intenzione: “io sarò ingegnere minerario per potermi dedicare ancora di più a Cristo tra i minatori. Come prete non lo potrei fare, ma come laico veramente esemplare e cattolico sì”.

Cresce l’attenzione ai compagni più smarriti e disorientati e cresce la partecipazione ad altre associazioni e circoli, fino al Partito Popolare di Don Sturzo, alla Pax Romana, alla Fuci, alla Giovane Montagna, al Cai.

Entrerà a far parte del Terz’ordine domenicano. Dalla famiglia impara un grande amore alla montagna. Appena poteva s’immergeva in questi paesaggi alpini, quasi sospeso nell’infinito, rapito nell’estasi dell’ascesa come espressione del suo profondo anelito verso Dio. “Trascorro sui monti ore di vera beatitudine contemplando i magnifici ghiacciai”. Si può dire che il giovane Frassati era un mistico, cioè uno che guardava alla realtà come fatta dal Mistero, lo stesso Mistero che fa il cielo il mare e le stelle.

La felicità contagiosa che sprizzava dal suo cuore, l’intensità del suo desiderio di donarsi nasceva da uno sguardo realista sul mondo. Il mistico, infatti, non è uno disincarnato dalla realtà, perché l’unione con Cristo, centro cel cristianesimo, spinge all’unità con tutte le dimensioni della realtà.

Cristo, tutto in tutto e in tutti. Per questo Pier Giorgio guardava con l’occhio della fede i compagni di studio come i poveri; ammirava ed era rapito da ogni forma di bellezza. “La Fede datami dal Battesimo mi suggerisce con voce sicura: da te non farai nulla ma se Dio avrai come centro di ogni azione allora sì arriverai sino alla fine ed appunto ciò vorrei poter fare e poter prendere come massima il detto di Sant’Agostino: Signore, il nostro cuore non è tranquillo finché non riposa in Te”.

Quando l’orizzonte della fede trascende il dato materiale, quando tutto è visto provenire dal Mistero, quando l’occhio si posa in modo puro e semplice su ciò che è bello buono e vero, quando la fede in Cristo diventa esperienza personale, allora si può dire che l’uomo percorre la strada verso la sua maturità, sperimentando un’unità profonda con tutto. Frassati passava intere notti in preghiera. “Dopo la veglia in preghiera mi sento più forte, più sicuro e più lieto”. Quando pregava restava in atteggiamento estatico e non era mai solo, sempre amici passavano queste “notti bianche”con lui.

Coltivava e approfondiva la sua fede nella meditazione delle lettere di San Paolo, il suo santo preferito, nella lettura di Dante, proclamava a memoria la preghiera alla Vergine della Commedia, leggeva le opere di santa Caterina da Siena e stava per affrontare lo studio della Summa teologiae di San Tommaso quando Dio lo chiamò a sé a soli 24 anni attraverso una morte eroica, raccontata dalla sorella Luciana nel suo libro piu’ bello: Mio fratello Pier Giorgio (ultima edizione La Stampa, 2010).

Il 29 giugno 1925, nel giorno del suo onomastico, una misteriosa sofferenza gli impedì di scendere dal letto e così il giorno dopo, ma nessuno in casa si preoccupò di chiedere la ragione di quei dolori lancinanti. Il medico fu chiamato solo il venerdì e subito diagnosticò la gravità del male: poliomelite fulminante. 

Sua mamma, colta dalla disperazione, cercò di procurare a suo figlio la gioia di ricevere per l’ultima volta la comunione. Era un venerdì, il giorno che dedicava alle visite ai poveri. Con il pensiero rivolto a loro più che a sé. Pier Giorgio chiese un foglio di carta ed una penna e con la mano irrigidita dalla paralisi, in una grafia quasi illeggibile, scrisse: “Ecco le iniezioni di Converso la polizza è di Sappa lo dimenticata rinnovala a mio conto”.

Sabato 4 luglio alle 4 del mattino gli venne amministrato il sacramento degli infermi. La poliomielite divorò in una settimana la fibra sana e robusta di quel giovane bellissimo. Alle sette di sera si abbandonò sereno; la cameriera corse in cucina e scrisse sul calendario: “Irreparabile sventura! Povero San Pier Giorgio”. Era Santo e Dio lo volle con sé.