Parlando al Parlamento di Strasburgo all’esordio del semestre italiano, il presidente del Consiglio Matteo Renzi ha citato il personaggio di Telemaco come il segno degli uomini del nostro tempo, che diciotto anni dopo Maastricht devono meritarsi l’Europa, eredi tutti di un regno ancora da conquistare. 

Il riferimento ha inevitabilmente richiamato la recente opera dello psicanalista Massimo Recalcati, che ha formulato la teoria del complesso di Telemaco in opposizione ai complessi di Edipo e di Narciso: più che di complessi nel senso freudiano del termine, si tratterebbe di atteggiamenti delle diverse generazioni che si sono succedute dal ’68 ad oggi nei confronti dei “padri”. Non sappiamo quanto Renzi conosca libro e teorie dello psicanalista: ma è interessante il riemergere in tempi brevi di una figura mitica che dopo le secentesche Adventures de Télémaque di Fénelon non ha avuto moltissima audience.



In un mio libretto di qualche anno fa, In attesa del Padre, avevo individuato un tipo di figure mitiche definite come figli di un padre assente: i figli dei grandi eroi autori di gesta famose, sempre lontani da casa per obblighi o per sventure, o morti in giovane età carichi di gloria. Sono i vari Oreste, Neottolemo, Illo e appunto Telemaco, affidati a madri o nonni o pedagoghi, con ambizioni confuse e compiti inquietanti, a rischio di sopraffazione o corruzione. Così ne riassume la sorte sinteticamente Omero: “Molti dolori ha nella casa il figlio di un padre lontano, che non abbia altri difensori. Il padre assente è una figura in qualche modo ingombrante, conosciuto solo di fama, punto di riferimento irraggiungibile per chi fa già fatica a diventare grande. 



Nei primi quattro libri dell’Odissea Telemaco ha però un aiuto nella sua fatica. La sua iniziazione, la convocazione dell’assemblea, l’organizzazione del viaggio verso gli antichi compagni del padre, è guidata da Atena, che riesce a trasformare il ragazzetto, secondo la sprezzante definizione di Antinoo, in un giovane deciso e capace di capire: “A lui nel cuore / pose forza e ardimento, lo fece pensare a suo padre / ancor più di prima. Lui, riflettendo nell’animo, / fu preso da stupore, perché capì che era una dea./” Subito tornò dai pretendenti. Anche l’incontro con Nestore e Menelao, pur non molto ricco di notizie, inserisce il giovane in una storia da cui era stato escluso, in un mondo di uomini diversi dal nonno straniato dal dolore e i pretendenti dalla giovinezza beffarda; e lo rende orgoglioso per il riconoscimento di una dote che già l’accomuna a Ulisse: “sei di buon sangue, ragazzo, per come sai parlare!



Un’iniziazione, dunque, voluta dalla dea, perché Ulisse tornando trovi un alleato in grado di aiutarlo  a rimettere ordine e non un giovane estraneo nella propria casa, “avvilito nel suo cuore.

Gli anni di avvilimento ed estraneità hanno però conferito a Telemaco una diffidenza estesa anche agli dèi, nonostante il riconoscimento dell’aiuto divino già ricevuto: al padre che gli si rivela Telemaco inizialmente non crede, pensa ad un malevolo inganno divino, non capisce perché mai gli dèi potenti dovrebbero scomodarsi per lui, per loro. Ulisse ha invece conservata intatta la sua fiducia e usa per convincere il figlio le sue stesse parole: tutto è facile per gli dèi abitatori del cielo.

Non verrà più qui un altro Ulisse“: è il momento di credere e agire, ora o mai più. E bisogna credere anche ad altro: che di fronte ad un numero enorme di nemici si possa combattere in due con un paio di servi. Telemaco pensa che Ulisse abbia un piano di riserva, alleati potenti da tirare fuori chissà da dove; ma Ulisse gli risponde con pazienza che è insieme fermezza educativa: “dimmi se a noi Atena e il padre Zeus / basteranno o se devo pensare ad un altro difensore. Da questo momento i due sono compagni di lotta, con una complicità che li separa da tutti gli altri: all’arrivo di Eumeo ancora ignaro “Telemaco dalla sacra forza sorrise / cercando il padre con gli occhi“.

Il giovane avrà i suoi momenti di errore, come l’armeria lasciata aperta che permette ai nemici di difendersi: tuttavia è segno di maturità anche la pronta ammissione dello sbaglio. Sarà capace di contenersi, di nascondere l’identità di Ulisse alle donne di casa e, dopo la strage, di consigliare Ulisse sulla salvezza dei servi rimasti onesti e di farsi ascoltare da lui.

Ancora una persona c’è da persuadere. Telemaco è cresciuto con la madre, in un rapporto di protezione e a tratti di irritato distacco. Recuperato il rapporto col padre vorrebbe che tutto si sistemasse rapidamente, che la coppia di genitori si riformasse senza aspettare oltre; ma sia il padre sia la madre lo richiamano a non intromettersi in qualcosa che è soltanto loro: Penelope gli dice che hanno dei segni segreti, Ulisse che saprà farsi riconoscere. Con delicatezza la coppia non ancora riunita ricorda al figlio ritrovato il mistero dell’unità sponsale.

È dunque vero che siamo tutti dei Telemachi? Ed è con Telemaco che si identifica l’attuale generazione di giovani non più ribelli, non più narcisisti? A Renzi dovremmo chiedere che ne è stato degli Ulissi che hanno fatto l’Europa, allo studioso se ci sono davvero dei padri al di là dei mari sulla cui riva i giovani attendono.